Nel secondo appuntamento della nostra rubrica di narrativa StoryLine abbiamo deciso, dato l’avvicinarsi del primo maggio, di dedicare il nostro racconto alla festa dei lavoratori. In particolare il nostro pensiero a va a chi lavora, a chi il lavoro non cel’ha più e a chi semplicemente il lavoro non sa cos’è.
Primo maggio, l’inizio
Era l’alba, Francesco Simoni si era appena svegliato e si sentiva felice come non era mai successo prima. Era il primo maggio e tutto intorno la natura rifioriva per la primavera inoltrata mentre le sue narici si inebriavano del profumo delle piantine di basilico appena piantato. Nelle sue mani si mescolavano le granaglie da dare agli animali. Nello stesso istante il sole luccicava sulla scritta della sua piccola attività che si chiamava semplicemente “Pane e uova”. Tanto tempo fa in questo giorno soleva prendere il suo jet privato e farsi qualche giorno alle Maldive giustificandosi di essere un onesto lavoratore che si gratificava prendendosi le sue costituzionali ferie. Eppure quanti onesti lavoratori aveva distrutto con le sue speculazioni finanziare, con la sua continua ricerca di investimenti al fine di soddisfare la sua spasmodica ossessione di guadagno?
Il lavoro è la dignità sociale a cui tutti aspiriamo
Tanti e neppure li aveva mai contati. La sua era una concezione medievale del lavoro dove si doveva solo ubbidire al potente di turno. Poi un primo maggio di dieci anni fa cambiò tutto. Quel giorno stava uscendo dal suo ufficio, dove si era recato a prendere dei documenti da portare in viaggio, quando un uomo gli si avvicinò. Era grande e grosso ma piangeva come un bambino. Fece per scacciarlo via come se questi gli stesse solo facendo perdere tempo. Lo sconosciuto allora lo spinse via e gli disse: “Dottor Simoni ma lei lo sa che il lavoro è la dignità sociale a cui tutti aspiriamo?”. “Cosa?”, rispose impressionato. “Io grazie a lei non ho più un lavoro”, riprese lo sconosciuto estraendo improvvisamente una pistola. “Fermo stia calmo..forse posso aiutarla, un assegno?” , disse cercando di risolvere la cosa quasi come fosse una banale transazione. Lo sconosciuto però estrasse improvvisamente una pistola puntandosela alla nuca e disse lacrimando: “Io non cel’ho più la dignità..nemmeno la dignità di me stesso”. Poi partì uno sparo mentre le sue mani si riempirono di sangue. Dal quel momento, in cui toccò l’inferno con mano, iniziò la sua catabasi che sembrava non dovesse avere più fine.
Senza lavoro non c’è società civile
Quel sangue sulle mani lo aveva condannato ad un silenzio fatto di rimorsi e paure, interrotto solo dalle parola “dignità” che tagliava la sua mente in mille pezzi. Aveva scoperto che il suicida aveva solo 35 anni che era uscito da una crisi depressiva grazie anche ad un lavoro in una catena di panificazione come panettiere. Un franchising di cui Francesco Simoni era diventato proprietario. Al primo accenno di problemi però non aveva esitato a rivendere al miglior offerente per affari più redditizi senza curarsi della manodopera. C’era crisi nel mondo e l’unica cosa che contava era la sua ripartenza milionaria. Finchè quel sangue cambiò tutto squarciando il velo della sua compulsiva esistenza. Aveva capito che prima dei soldi, prima del guadagno viene l’uomo. Decise perciò di darsi una seconda possibilità vivendo la vita di quell’infelice che gliel’aveva cambiata. Aveva deciso di passare dall’altra parte della barricata e diventare un semplice panettiere di campagna. A chiunque il primo maggio lo invitava nuovamente a fare festa rispondeva: “Il primo maggio è ogni volta che ci si ricorda che senza lavoro non c’è società civile”.