Hugo Sconochini ha passato la maggior parte della carriera in Italia vincendo tutto quello che si poteva vincere. Oggi ha raccontato a Metropolitan Magazine alcuni dei momenti più iconici della sua carriera.
La figura dell’allenatore
Nel corso della carriera Hugo Sconochini è stato allenato da molti grandi allenatori. Ognuno gli ha lasciato qualcosa di unico e gli ha permesso di sviluppare diversi aspetti del suo gioco.
“In carriera ho avuto tanti grandi allenatori ognuno con pregi e difetti. Un bravo allenatore deve essere in grado di adattarsi al materiale umano che ha davanti. Ci sono allenatori che vogliono che la squadra giochi per come loro intendono la pallacanestro ma se non hai giocatori che riescono ad interpretare al meglio quel tipo di gioco è difficile ottenere grandi risultati. Magnano e Recalcati mi hanno permesso di osare di più, di esprimermi al meglio.”
Nell’estate del 1993 si trasferisce all’Olimpia Milano e in panchina c’è Mike D’Antoni. Oggi è uno dei migliori allenatori al mondo e sta provando a rivoluzionare definitivamente il gioco del basket, estremizzando all’ennesima potenza il concetto di Small Ball. Quell’annata a Milano è stata particolare perché la società aveva cambiato sponsor e iniziava un periodo di rivoluzione.
“D’Antoni mi ha allenato solo un anno ed è stato anche un anno difficile. La squadra l’anno prima aveva vinto la Coppa Korac ma era passata da Philipps a Recoaro ed era stata un po’ smantellata. Nel roster c’erano Riva, Pessina, Ambrassa, Djordjevic ottimi giocatori ma quell’anno siamo usciti con Verona. Però Mike mi ha aiutato molto a sviluppare il tiro, un aspetto del gioco che non mi piaceva. Mi ricordo però che mi piaceva come voleva giocare perché è il Mike di oggi trasportato vent’anni fa: giocare in velocità, prendere un tiro comodo anche dopo pochi secondi. Era un rivoluzionario, aveva già sorpreso tutti con la banda bassotti a Milano, e il tempo gli ha dato ragione perché ha fatto benissimo ovunque sia andato.”
L’esperienza a Bologna è stata la più vincente e alla guida di quella squadra di fenomeni c’era Ettore Messina, attuale allenatore dell’Olimpia Milano. Due Euroleghe, due scudetti e due coppe italia in 4 stagioni con le Virtus per Hugo.
“Con Messina ho vinto davvero tutto. È un allenatore preparatissimo che ama il dettaglio, non lasciando niente al caso e che pretende di avere il controllo su tutto, a volte un’arma a doppio taglio. Però anche lui mi ha dato tanto: mi ha fatto capire cosa volesse dire far parte di un roster vincente e giocare con grandissimi campioni. Ciò comporta a sapersi adattare allo spazio e farlo fruttare al massimo. Una filosofia che ho portato avanti nella vita soprattutto con compagni che erano poco felici per lo spazio che avevano. Ma il rapporto con l’allenatore è un dare-avere e riprendendo quello che dicevo prima, che l’allenatore deve essere in grado di adattarsi ai giocatori, ma anche i giocatori devono fare quello che gli chiede l’allenatore.”
La Golden Generation
Hugo Sconochini ha fatto parte della nazionale argentina dal 1997 al 2004 andando a medaglia in ogni competizione. La “Generazione Dorata” è la più forte di sempre e la conquista dell’oro olimpico ad Atene 2004 è il risultato di molti fattori che non riguardano solo il campo ma soprattutto il legame che univa e unisce tutt’ora quel gruppo.
“Quello con la nazionale non è un ricordo è una parte presente nella mia testa ogni giorno che passa. Il bello di quella squadra era la complicità anche perché erano ragazzi molto più giovani di me e sono cresciuti insieme e la loro voglia mi ha contagiato e portare a termine ogni obiettivo senza mai mollare. Mi hanno ritrasmesso il senso di appartenenza a quella maglia per mettere l’Argentina in una mappa cestistica. Una squadra unica sia per i componenti che per i risultati. La Generazione Dorata non è ancora finita grazie a Scola un playmaker nel corpo di un lungo e con quel piede perno porta a scuola chiunque.”
Il rapporto con Manu
La carriera di Ginobili e Sconochini si è intrecciata diverse volte: hanno lasciato l’Argentina molto giovani (Hugo 17 manu 21) per trasferirsi in Italia entrambi per giocare a Reggio Calabria, poi un anno insieme alla Virtus Bologna e una vita con la maglia dell’Albiceleste.
“Con Manu siamo stati compagni di stanza ogni volta con la nazionale avevamo una chimica particolare. Vederlo giocare era una gioia incredibile, faceva cose meccanicamente impossibili e credo che sia nato per fare quello che ha fatto. Manu va a Reggio Calabria perché l’allenatore era Gaetano Gebbia, che mi ha portato in Italia, mi ha chiamato dicendomi mi hanno offerto Manu Ginobili e ne nomina altri 4. Al suo nome non ho nemmeno fatto caso agli altri, gli ho detto devi prendere Manu, si vedeva quello che poteva essere per la pallacanestro. Poco dopo torno in Argentina per giocare un torneo con la Nazionale e Manu mi chiede se andare a Reggio o in Spagna. Gli ho detto Reggio senza ombra di dubbio. Sapevo quello che gli avrebbe dato quella situazione. L’abbiamo incontrato ai playoff l’anno prima che venisse a Bologna e ci ha messo davvero in difficoltà portandoci fino a gara 5. È un ragazzo semplice alla mano, è speciale.”
Il derby di Bologna
A Bologna come già sottolineato ha vinto tutto. Ma si sa che il derby è una partita speciale e in quegli anni le due squadre erano entrambe straordinarie.
“Il derby di bologna è qualcosa di mistico, di speciale e ho giocato anche il derby tra Panathinaikos e Olympiacos. La città si divide tra le due maglie e quella partita conta come tutto il campionato. Nelle settimane che precedono quella partita vivi momenti molto intensi. Ci sono state delle battaglie incredibili, è un’emozione incredibile.”
E a proposito di derby abbiamo ricordato quel famoso “andate a casa” rivolto ai tifosi della Effe successo con la maglia della Virtus Roma ma ovviamente legato al suo passato nelle V Vere.
“È stato un momento abbastanza oscuro della mia carriera (ride ndr). Non sono mai stato uno da gesti contro le altre tifoserie. Ma in quella partita avevo preso un colpo molto duro ed ero caduto malissimo, in più i tifosi continuavano a beccarmi. A un certo punto rubo una palla e vado a segnare e mi ritrovo la Fossa davanti. Mi è venuto istintivo in quel momento fare quel gesto. Ho molto rispetto per quella curva, ovviamente non condivido determinati loro comportamenti, ma se dovessi prenderne una come esempio per spiegare il vero amore per una maglia io dico la Fossa e i suoi tifosi.”
Lorenzo Mundi
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