A 11 anni dalla scomparsa di Chuck Daly, Metropolitan Magazine rende omaggio a uno degli allenatori migliori di tutti i tempi ripercorrendo alcuni momenti chiave della sua carriera.

I Bad Boys

A fine degli anni ’80 la Eastern Conference è stata dominata da una squadra. Non stiamo parlando né dei Boston Celtics ormai in fase calante, né dei nascenti Bulls. Dal 1984 sulla panchina dei Detroit Pistons siede Chuck Daly che conduce i suoi a un record positivo per 7 stagioni consecutive, qualificandosi regolarmente ai Playoff. Non era mai successo nella storia che i Pistons avessero per due stagioni consecutive più vittorie che sconfitte. Chuck affida le chiavi della squadra a Isiah Thomas, uno dei 3 playmaker più forti di sempre. Con lui ci sono Bill Laimbeer, Joe Dumars, Vinnie Johnson e Dennis Rodman. Vincono 2 titoli nel 1989 e nel 1990 grazie al loro agonismo, alla loro tenacia e a un po’ di gioco sporco. La squadra della città della Ford voleva punire fisicamente i propri avversari e grazie a una difesa orchestrata a meraviglia da coach Daly e un attacco gestito da Isiah Thomas la squadra per due anni è imbattibile. Servirà Michael Jordan per mettere fine all’egemonia “Bad Boys” che riuscirà a vanificare la “Jordan Rule” (ideata proprio da Chuck per limitare Mike).

Chuck Daly abbracciato a Joe Dumars, uno dei pilastri dei Bad Boys (photo credits: H. Joe Hooloway)

Il Dream Team

Dopo diversi risultati deludenti della nazionale americana, il commisioner David Stern decide di far partecipare i professionisti alle Olimpiadi di Barcellona del 1992. Viene costruita la squadra più forte di tutti i tempi con MJ, Larry Bird, Magic e tutti i giocatori più forti del mondo. L’allenatore scelto è Chuck Daly, che a Detroit avevo dimostrato di saper gestire diverse personalità ingombranti. Manca solamente un giocatore all’appello, lo scudiero numero uno di Chuck, Isiah Thomas, che non è ben accetto da diversi membri dello spogliatoio della squadra a causa del comportamento che riserva in campo agli avversari. Il Dream Team ovviamente vince tutte le partite, anzi le stravince e si aggiudica l’oro olimpico oltre ai Campionati Americani. Tutte le partite tranne una. Non si può trovare sugli almanacchi perché è un’amichevole organizzata da Chuck contro una selezione universitaria. I giocatori migliori del mondo contro dei “ragazzini”. 54-62 è il risultato finale che Chuck non farà sapere ai giornalisti per non scatenare il panico, ma che gli è servito per far capire ai suoi che nessuno è imbattibile.

Chuck Daly parla con la nazionale americana durante un timeout (photo credits: fiba.basketball)

Il ritiro e la malattia

Ovviamente nella carriera di Chuck non ci sono stati solamente i “Bad Boys” e il “Dream Team”. 14 stagioni in NBA alla guida di 76ers, Cavs, Nats e Magic oltre ai già citati Pistons e un’affermata carriera in ambito collegiale servono a coronare una delle carriere più vincenti nella storia. Il 9 maggio 1994 mentre allena ancora viene inserito nella Naismith Hall of Fame. Precisamente 15 anni dopo muore all’età di 78 anni a causa di un tumore al pancreas che gli era stato diagnosticato nel febbraio dello stesso anno. Il suo ricordo resta vivo nel cuore di tutti gli appassionati di basket: un allenatore che lascia alla sua squadra i meriti ma capace di fare la voce grossa in spogliatoio o con la stampa.

“Molti allenatori allenatori nella loro carriera non hanno mai vinto un campionato, ma sono comunque grandi allenatori”
(Chuck Daly campione NBA con i Detroit Pistons nel 1989 e nel 1990)

Lorenzo Mundi

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