Road to flop“, la nostra nuova rubrica sui campioni d’incasso che subiscono il passare degli anni e vengono accatastati tra i film ‘navigati’ (in tutti i sensi) nella storia del cinema. Iniziamo col botto: “La leggenda del pianista sull’Oceano“. Eh lo so che amate questo film. Ma oltre l’aspetto emotivo ed estetico vi sorprenderete nello scoprire un gigantesco buco di trama. Il film di Giuseppe Tornatore uscì nel 1998, riscuotendo un incredibile successo di pubblico. Sebbene, con il tempo, la critica abbia ridimensionato il proprio iniziale entusiasmo. Per anni ci si è convinti che questa fosse la pellicola più importante del regista. Scopriamo, dunque, perché l’abbiamo inserita in Road to flop e perché, secondo noi, il film è stato molto sopravvalutato.

Road to flop: La leggenda del pianista sull'Oceano
Photo credit: WEB

Trama

La storia ha luogo negli anni Trenta del XX Secolo ed è narrata dal trombettista Max Tooney. Egli, giunto sul transatlantico Virginian per suonare nell’orchestra della nave, conosce il geniale pianista Danny Boodman T.D. Lemon Novecento (interpretato da un Tim Roth bloccato come una statua di sale). Costui, trovato sulla nave il primo giorno del nuovo Secolo, vi è stato allevato a bordo e non ne è mai uscito. La sua fama di pianista farà presto il giro del mondo, contando anche una vittoria in una sfida al piano ai danni di Jelly Roll Morton (l’inventore del jazz). Tuttavia, incapace di accettare il mondo all’esterno, benché Max sia convinto che vi troverebbe fortuna, Novecento non lascerà mai il Transatlantico, neppure quando esso sarà demolito.

Paura dell’Oceano

Tratto dal monologo di Alessandro Baricco, il film di Tornatore è il perfetto esempio di come la buona tecnica registica riesca a compensare le lacune scrittorie. Lo stesso autore dell’opera originale – chiamata semplicemente “Novecento” – si disse perplesso dalla messinscena del suo monologo. Lampi di filosofia che rimangono parecchio in superficie, conditi da una forte presenza di dialoghi retorici, di amore per l’epica e per l’estetica più pura. Una forma di manierismo cui Tornatore tendeva sin dai suoi primi film, e che qui trova il suo apice – o il suo pedice, dipende dai punti di vista -. Se l’Oceano è sinonimo di profondità, qui sembra che il cineasta bagherese abbia proprio paura di affrontarlo. Preferisce rimanere a riva, piuttosto.

Road to flop: La leggenda del pianista sull'Oceano
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Un film tronfio, pomposo, a tratti insensato. Riprende schemi già visti nelle precedenti opere di Tornatore – su tutti: l’amore fugace causa di malinconia -, alcuni dei quali risultano pigri. Un insieme di bozzetti, di quadretti di vita che servono a esaltare l’eccellente veste grafica e la colonna sonora di Morricone, mancando sotto il punto di vista della scrittura. L’accento è posto sulle riflessioni, sulla vita, ma senza che codeste siano approfondite. Il protagonista, in tutta la sua introversione, appare scontato e stereotipato. Non vi è un minimo approfondimento: è soltanto il classico “schizzato” da cinema che trova sempre un pubblico di seguaci solo perché non è piatto quanto il deuteragonista Max.

Il regista preferisce raccontare la storia di un personaggio da striscia quotidiana, rimpolpando il tutto con una sorta di nostalgia dei bei tempi andati. L’importanza delle scelte, la paura della gloria, l’ego preferito all’amore, i propri demoni interiori. Sono tutte tematiche che al cinema ha affrontato chiunque. Pertanto, proporle in termini così semplicistici e superficiali, rende il film solo un’accozzaglia di scene ben dirette e cui i dialoghi e le riflessioni sono state incollate a forza in seguito.

Road to flop: La leggenda del pianista sull'Oceano
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Il manierismo che non ci piace

Un film invecchiato pesantemente male. Accolto con iniziale entusiasmo dal pubblico, con il tempo è stato ridimensionato proprio per la sua filosofia spicciola, aggiunta a una storia altrimenti impossibile da portare sul grande schermo per due ore consecutive. Qualcosa che si nasconde dietro a una maschera pseudo-intellettuale e mesta, sotto la cui superficie si nasconde ben poco. L’ipertrofico flusso di coscienza di un Tornatore che vorrebbe imitare l’epicità felliniana o leoniana, cade in un esacerbato ed evitabile manierismo. Un manierismo intriso di retorica, girato con gli immancabili dolly e confezionato per accaparrarsi un cospicuo gruzzolo, piuttosto che con l’intento di raccontare qualcosa.

MANUEL DI MAGGIO – Road to flop

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