“Scarface” è uno di quei film che ce l’ha fatta. A fare cosa?, direte. Semplice: è uno dei pochissimi remake che sono riusciti a “surclassare” l’opera originale cui si ispiravano. Uscito nel 1983 sotto la direzione di Brian De Palma, divenne ben presto un cult presso – e non solo – gli amanti dei film di gangster, soprattutto per la superba prova di Al Pacino, protagonista e autentico mattatore della scena.
Tony Montana arriva in Florida
Il protagonista è Tony Montana, criminale cubano estradato negli Stati Uniti durante un esodo di deportati che coinvolse le due Nazioni all’alba degli anni Ottanta. Crudo e ambizioso, Tony si fa strada nel mondo della criminalità organizzata della Florida, scalandone i vertici. Assieme all’amico fraterno Manny Ribeira (Steven Bauer) egli inizierà ad appropriarsi del potere di Frank Lopez (Robert Loggia), signore della droga di Miami, insidiandogli anche la donna, Elvira Hancock (Michelle Pfeiffer), con cui convolerà a nozze. Il boliviano Alejandro Sosa (Paul Shenar), dapprima suo alleato, lo tradirà ben presto divenendo il mandante del suo omicidio avente luogo nella sua lussuosissima villa.
Il fu “Scarface – Lo Sfregiato”
C’era una volta Al Capone, noto con il suo soprannome scarface. Erano gli anni Trenta e una combriccola di agenti federali lo aveva messo in carcere per evasione fiscale. Fu un evento storico per gli Stati Uniti, tanto da ispirare un decennio di film dedicati mafia italoamericana. Fu Howard Hawks a portare per primo Capone al cinema, con “Scarface – Lo Sfregiato“. Era il 1932 e l’ormai ex-boss della Outfit di Chicago ebbe in Tony Camonte (interpretato da Paul Muni) il suo alter ego filmico. Tuttavia, l’epoca della Depressione e del Proibizionismo era passata da tempo, ma la criminalità organizzata sussisteva ancora, sebbene si fosse evoluta. Da Cuba ne arrivarono a bizzeffe di delinquenti affiliati al cartello di Miami durante l’esodo di Mariel, pertanto, l’unico modo per ripristinare il mercato dei film di gangster dopo l’apoteosi della saga del “Padrino“, divenne proprio il raccontare quella attualità.
De Palma riscrive l’attualità
De Palma non si fece di certo pregare per mettere su schermo la sua idea di trafficante cubano. Da bravo cinefilo, riprese proprio il capostipite del genere e lo rese contemporaneo. Laddove un tempo figurava il contrabbando d’alcolici, oggi c’era la droga. Laddove un tempo i gangster erano italiani, adesso provenivano da Cuba. Tuttavia, il processo di attualizzazione raccontato da De Palma non si basò solo sulla creazione di personaggi contemporanei, bensì riguardò proprio la narrazione in sé della storia. Non c’è più posto per una condanna al gangsterismo di un tempo; in questo film sono tutti dei papabili condannati. Se, a causa del codice Hays, negli anni Trenta i registi erano tenuti a dare delle indicazioni morali sul perché un gangster fosse da disprezzare, adesso quella regola era sorpassata. De Palma non aveva nessun obbligo: poteva portare il pubblico a parteggiare per il cruento Tony Montana, anche quando questo significasse indifferenza dinnanzi alla morte dei suoi amici.
182 volte “F…k”
Non è un caso che “Scarface” divenne ben presto un film criticato per la sua crudezza. Tony Montana ripete per bene cento ottantadue volte la parola “Fuck“, ispirando persino – sebbene essi abbiano negato – la band Blink 182. Egli è il “nuovo” gangster. E’ anni luce dal tipico “uomo d’onore” che si era visto solo undici anni prima ne “Il Padrino“. Tiene in disprezzo l’alta società, non lesinando di criticarne le ipocrisie durante una cena, circondandosi solo di amici fidati anche quando finisce per farne parte. Il famoso codice dell’onore e del rispetto dei mafiosi non esiste nella sua visione. L’ambizione, la voglia di dominare tutto e tutti – “Il mondo è tuo” è la scritta che campeggia sulla statua all’ingresso della villa – lo porta a seguire una via tutta sua, lastricata tanto di cadaveri quanto di collaborazioni e amicizie, dove i vecchi valori ascrivibili al mafioso sono ormai perduti.
“Scarface – La vergogna di una Nazione”
In ultima istanza, poniamo proprio il primo titolo con cui fu commercializzato lo “Scarface” di Hawks. Laddove, un tempo, Tony Camonte diveniva “the shame of a Nation“, adesso era Tony Montana a istigare alla vergogna gli avventori del ristorante. Questa potrebbe benissimo essere la summa del film. La rappresentazione di una società sempre più individualista e spregiudicata, tanto quanto lo stesso Tony. Una società che, però, per lavare le proprie colpe, ha bisogno di un capro espiatorio che oltrepassi quel limite “moralista” altrimenti distante dalla gente “perbene”. Uno da indicare come “l’uomo cattivo“.
MANUEL DI MAGGIO
Seguici su Facebook e su Instagram
Seguici su Metropolitan per rimanere sempre aggiornato