Ci sono film che si rivedono continuamente, che non si vestono di monotonia. E la pellicola che gira, sempre la stessa, cambia ogni volta insieme alle emozioni del pubblico, sensazioni diverse ma indelebili. “Delle feste mobili”,amava definirli lui. E, immaginiamo di dover rivelare l’identità del maestro del cinema celata dietro il semplice pronome. Magari alle nuove generazioni, ai tanti adolescenti dai sentimenti teneri che, prigionieri dei luoghi comuni, non conoscono i ‘vecchi film’. Parleremo di un uomo eclettico, sceneggiatore, umorista e regista, Ettore Scola.
Nasce in provincia di Avellino, straniero a Roma solo sui documenti, perché la città eterna, è sua fin dentro le ossa. Ne conosce l’essenza e le vibrazioni, le le usanze popolane e le tradizioni, che da forestiero sa cogliere bene. Non avendo gli occhi assuefatti alla quotidianità, di chi, abituato in un luogo, non fa caso all’ordinario che lo circonda. Non ne vede vita ed incanto. “Nei miei film, Roma è sempre presente perché realizzo un tipo di cinema non inventato da me, che non rappresenta solo il mio mondo poetico interiore, che non si arrende alle fantasie nate dalla mia immaginazione. Scrivo lo scenario tenendo conto dei set. La città non è mai un semplice sfondo, è parte dell’atmosfera e del design stesso della scena”.
Il regista del popolo
Gli emarginati, i diversi, sono cari al regista che si è sempre battuto per un cinema intelligente ambientato nei bassifondi. Scendendo dentro le borgate, fin nelle baracche, con una sensibilità e naturalezza innata, riprendendo così il tema più amato da Pasolini. In “Brutti, sporchi e cattivi” il racconto potrà essere crudo, mostrando le miserie morali e materiali, ma non sarà grottesco. Mai, Giacinto, straordinario Nino Manfredi protagonista di una baracca sovraffollata, con il suo occhio perso da muratore, incoraggerebbe in una risata il pubblico.
Ridendo e scherzando alla Ettore Scola
“Non amo le interviste, non amo parlare di me”, tra le dichiarazioni di Scola. E, la metafora per spiegare il suo cinema, “parlare di cose serie senza farsene accorgere, facendo ridere”, è una vera filosofia. Un percorso di briciole di allegria che non fa smarrire la strada allo spettatore. Fu impresa difficile, per tutti i cineasti del dopoguerra, guardare l’Italia negli occhi. Raccontarne con coraggio, sia le virtù risorte dalle macerie, sia il fallimento del paese, al posto del falso miracolo annunciato e osannato dal potere.
“Una giornata particolare” è uno scorcio, come spiato da una finestra, con personaggi fatti di fragilità comuni, di solitudini. Circondati dall’appiattimento, dalla paura e dalla stupidità che erano alla base del regime di dittatura. Si avverte immediatamente il peso insopportabile delle ingiustizie subite nella voce di Marcello Mastroianni, “L’ordine è la virtù dei mediocri”, che rende Gabriele un indimenticabile uomo. Anticonformista, fuori dagli schemi, ma caparbiamente umano e vero, interprete della storia di molti e della vita di tutti.
“C’eravamo tanto amati” non ha mai finito di dire quel che ha da dire
L’osservazione malinconica pronunciata in “C’eravamo tanto amati”, “Ci amavamo così tanto, volevamo cambiare il mondo ed il mondo ci ha cambiato”, è la disillusione per quel futuro migliore che non si realizzerà. Non si avvererà come l’avevano sognato gli amici ai tempi delle lotte partigiane. Un amaro spaccato di realtà, ideali traditi, occasioni mancate, in cui si guarda nostalgicamente a ciò che poteva essere e non è stato, senza però perdere la speranza, fuoco vivo di tutto il film.
Scola mette a tavola i personaggi, con la dovizia di particolari osservati da arguto, ironico e spassionato frequentatore di vecchie osterie. I compagni di storia e di avventura, davanti alle porzioni tipicamente romanesche, rigorosamente mezze, brandiscono in alto le forchette con i rigatoni. Come fossero calici in un brindisi di trionfo, come spade tra vincitori in una lotta, ma, sicuramente, come mani che si stringono a rimarcare e a promettersi per gli anni a venire, l’indistruttibile e preziosa amicizia.
Gli eroi dei film sono tutti solitamente giovani e belli, ma i personaggi di Ettore Scola erano eroi di un’odissea quotidiana, piccoli uomini, grandi al confronto con la storia.
Federica De Candia Seguici su MMI e Metropolitan cinema