Robert De Niro, Dustin Hoffman, Sylvester Stallone e Tomas Milian. Avevano tutti la stessa voce, riconoscibile fin dalla prima sillaba. Era una voce calda, pastosa e morbida, quella di Ferruccio Amendola. Inconfondibile la sua tonalità, la sua fonica. Indimenticabili i suoi pianti, le sue urla. Le sue vibrazioni. Parte integrante dei personaggi, nella loro versione italiana. Nei film sbarcati nelle nostre sale.

Di attori, Amendola ne ha doppiati circa 170, da Hollywood alla nostra penisola. Da piccole produzioni ai grandi successi della settima arte. Al Pacino era doppiato da lui nelle sue prime significative interpretazioni. In “Serpico”, “Scarface” e nella saga del padrino. Nel piccolo schermo ha prestato la voce a Bill Cosby nella serie “I Robinson” e a Peter Falk nelle vesti del tenente Colombo. Ha persino fatto parlare un cane; il Dogue de Bordeaux “Tequila” della serie “Tequila e Bonetti”.

Ferruccio Amendola - photo credit: web
Ferruccio Amendola – photo credit: web

Gli esordi e la svolta con “Un uomo da marciapiede”

Romano d’adozione, Ferruccio Amendola è nato a Torino il 22 luglio del 1930. Ha esordito come attore a tredici anni nel film “Gian Burrasca”, di Sergio Tofano. Il ruolo dell’attore lo ricoprirà altre volte negli anni a seguire ma sarà il doppiaggio il suo vero destino. Il primo a cui concederà le sue corde vocali sarà il piccolo Vito Annicchiarico, nel film “Roma città aperta”(1945), capolavoro neorealista di Roberto Rossellini.

Ma Amendola non è diventato il Ferruccio che noi tutti conosciamo come un vocale salvato nei preferiti. Per anni fu chiamato per dire “buongiorno e buonasera”, per ruoli minori e dialoghi di contorno. Poi l’opportunità, il provino per un ruolo importante. La sua voce venne scelta dal regista John Schlesinger per il barbone italo-americano, lo zoppo Enrico Salvatore Rizzo che tutti chiamano “Sozzo”, nel film “Un uomo da marciapiede“.

L’intuizione geniale di “sporcare” il personaggio, interpretato da Dustin Hoffman, con un accento napoletano segnò la svolta di Ferruccio. Da quel momento sarà il doppiatore ufficiale di Hoffman e la sua carriera prenderà, finalmente, la piega giusta.

Un uomo da marciapiede, una scena - photo credit: web
Un uomo da marciapiede, una scena – photo credit: web

La voce dei duri di Hollywood e di “Er Monnezza”

Negli anni settanta Ferruccio inizia ad essere la voce di molti attori di prima classe. E sarà il loro doppiatore, salvo poche eccezioni, fino alla morte (il 3 settembre del 2001). Nasce il sodalizio voce-volto con Robert De Niro, che Amendola doppia la prima volta in “Ciao America!”. Poi nel monumentale “Taxi Driver”, nel kolossal “Novecento”, nel leggendario “Toro scatenato“. Negli indimenticabili “Quei bravi ragazzi“, “C’era una volta in America” e in moltissimi altri capolavori. I due si incontreranno nel 1991 alla Notte dei Telegatti e l’incontro sarà particolarmente emozionante per loro e per il pubblico.

La stessa simbiosi avverrà anche con Sylvester Stallone. Ferruccio darà la voce ai suoi personaggi più caratteristici, John Rambo e Rocky Balboa (per il quale Amendola sostituì Gigi Proietti), su tutti. Lo sguardo da duro, la bocca un po’ storta e il coraggio eroico si completano, fin da subito, con il calore del doppiaggio italiano.

Nel 1974 doppia per la prima volta Tomas Milian nel film “Milano odia : la polizia non può sparare”. Il personaggio avrà un’impronta vocale violenta e vigliacca, pressoché perfetta. Sarà poi Milian stesso a sceglierlo come sua voce ufficiale per i successivi film. Dai poliziotteschi ai ruoli iconici di Sergio Marazzi, il ladruncolo soprannominato “Er Monnezza”, e di Nico Giraldi, ex ladro divenuto poliziotto. Personaggi per cui Ferruccio si inventò una parlata indimenticabile dal forte accento romanesco.

Raffaella Carrà, Robert De Niro e Ferruccio Amendola - photo credit: web
Raffaella Carrà, Robert De Niro e Ferruccio Amendola – photo credit: web

Una voce “rivoluzionaria”, inconfondibile ed indimenticabile

Con il suo timbro e le sue espressioni Ferruccio Amendola è entrato nella storia del cinema, rivoluzionando la categoria dei doppiatori. “Liberandola” dalle regole scolastiche, dai doppiaggi ordinati, dall’italiano corretto. Non più solo una dizione impeccabile, voci pulite ed impostate. Bensì una voce emergente, non propriamente accademica, più vera e naturale. Sporca, a volte “zozza. Impareggiabile.

Ascoltarlo significava sentirsi a casa. Vedere il cinema degli americani un po’ più italiano. Un po’ più nostro. E non è certo facile dare con la scrittura un’impronta a ciò che si sente, a ciò che è rimasto nelle menti di chi lo ha ascoltato. Ancora oggi è indelebile nella memoria degli spettatori anche una parolaccia, quel “Vaffa…..!” che, detto da Amendola, era tutta un’altra cosa. E poi un’umiltà da grande uomo. Il suo sapersi adattare ai personaggi, creature di altri. Che lui rendeva ancora più importanti. Semplicemente migliori, con la sua voce. La voce italiana della settima arte.

“Il buon doppiatore deve rinunciare all’idea di interpretare il ruolo che gli viene affidato, perché è già stato recitato da un altro. L’obiettivo del doppiatore è capire quello che l’attore ha voluto dire, in qualunque lingua l’abbia fatto. Bisogna porsi al suo servizio”.

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