La più grande avventura nello spazio che il pubblico della settima arte abbia mai assistito. Ma non solo. Con “2001: Odissea nello spazio”, Stanley Kubrick ha cambiato per sempre la storia del cinema. Una rivoluzione artistica (e non solo) senza precedenti. Un opera complessa che non smette mai di stupire. Che colpisce i sensi dello spettatore, ammaliandolo e spingendolo ad una riflessione interiore senza precedenti.
La nascita del film
É in uno scenario mondiale rivoluzionario, tra disordini e proteste studentesche, tra le elezioni vinte da Richard Nixon e il movimento delle Pantere Nere, che si inserisce l’opera di Kubrick. È il 1968 quando la NASA lancia il programma Apollo 7. La corsa allo spazio è in pieno fermento, con l’allunaggio pronto a realizzarsi da lì a poco. Reduce dal successo “Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato ad amare la bomba”(1964), Kubrick è sommerso di idee.
Solo dopo l’incontro con lo scrittore britannico Arthur C. Clarke, una prese il sopravvento: scrivere insieme un film di fantascienza mai realizzato prima, diverso da quelli tipici del genere, dalle avventure fantasmagoriche dal velato significato anticomunista (dove i marziani rappresentavano metaforicamente i marxisti). “La Sentinella”, un breve racconto di Clarke, sarà il punto di partenza. Seguiranno quattro lunghi anni di ricerca della perfezione che porteranno all’opera che oggi conosciamo.
La trama in tre atti: Dall’alba dell’uomo allo spazio
Il capolavoro di Kubrick inizia proprio dalle origini dell’uomo, tra lande aride e desolate, quattro milioni di anni fa. Un gruppo di ominidi fatica a sopravvivere e un monolito nero compare sulla Terra. Dopo il contatto con l’oggetto misterioso, i primati imparano a maneggiare le ossa degli animali, che verranno usare per cacciare e la difesa del territorio.
Viaggio nel futuro ed è subito 1999. Un monolito, la cui esistenza è mantenuta segreta, è stato rinvenuto nei pressi di un cratere sulla Luna. All’improvviso, i raggi lunari colpiscono l’artefatto, che emette un segnale diretto verso Giove.
Viaggio verso Giove
Passano diciotto mesi (siamo nel 2001) e un’astronave si sta dirigendo verso il pianeta. L’equipaggio è composto da due astronauti, Frank (Gary Lockwood) e David (Keir Dullea), tre scienziati ibernati e il supercomputer HAL 9000, in grado di controllare il funzionamento di tutta l’astronave e di conversare con gli essere umani. Dotato di un’intelligenza artificiale tale da renderlo infallibile, HAL 9000 segnala un’avaria ad un componente esterno che si rivelerà, invece, completamente funzionante.
Dato l’errore i due astronauti decidono di disattivarlo, ma il computer, impaurito dalla minaccia, trova nell’eliminazione dell’equipaggio l’unica soluzione. David però riesce a salvarsi e dopo aver disconnesso HAL, tra le implorazioni di quest’ultimo, scopre il vero obbiettivo della missione (di cui solo il super elaboratore e gli scienziati ibernati erano a conoscenza).
Oltre l’infinito…il “Bambino delle Stelle”
Arrivato in orbita intorno al pianeta e dopo aver avvistato un monolito gigante fluttuante nello spazio, David e la sua capsula sono accelerati a velocità sconosciute fino a trovarsi in una stanza arredata in stile Impero. Qui spazio e tempo diventano incomprensibili e l’astronauta vede se stesso invecchiare, assistendo ai diversi stadi della propria vita.
Ormai moribondo, sdraiato sul letto, vede il monolite nella stanza e cerca di toccarlo. David “rinasce” in forma di un feto nello spazio e osserva la Terra. Diventa così il “Bambino delle Stelle”, nuovo stadio evolutivo dell’uomo, in piena sintonia con l’universo.
Fantascienza profetica e il ruolo della tecnologia
Kolossal epico, con la quale Stanley Kubrick spinge la tecnica degli effetti speciali a livelli mai raggiunti prima, è un indagine completa dai molteplici messaggi. Uno di questi è senz’altro il ruolo della tecnologia, che dall’anno dell’uscita del film, influenzerà sempre di più la nostra vita. Ma quella che sembra solo una profonda analisi si rivelerà essere un ventaglio di intuizioni profetiche. La pellicola, infatti, ha anticipato a sua volta le scoperte dei giorni nostri.
È molto suggestivo, ma allo stesso tempo naturale, notare una somiglianza tra Siri e HAL 9000. La Apple venne ispirata da “2001: Odissea nello spazio”, ben quarantadue anni dopo l’uscita nelle sale, per la realizzazione dell’iPad (gli astronauti del film comunicano con la Terra con schermi che sembrano proprio i tablet dei giorni nostri). Impossibile non pensare a Skype, durante la videochiamata tra il dottor Floyd e sua figlia. La stessa stazione spaziale vede la sua classica rappresentazione anticipata dall’opera di Kubrick.
HAL 9000 e l’errore umano
Acronimo per Heuristic Algorithmic ,(“algoritmo euristico”), progettato per risolvere più velocemente un problema o per trovarne una soluzione approssimata, HAL 9000 è un computer perfetto. Riproduce tutte le attività della mente umana in modo più veloce e sicuro e governa l’astronave durante le missione spaziale (sarebbe in grado di farlo senza equipaggio). Ma è anche in grado di provare emozioni e di dialogare con gli uomini. Non può commettere errori. Eppure ne commette uno per la prima volta.
Ma non è colpa sua. Il suo sistema viene distorto dalla presenza di un segreto da conservare. Gli è stato imposto di non parlare del vero scopo della missione con gli astronauti. Ma lui non è stato concepito per tenere nascoste informazioni e così la sua mente entra in conflitto (da qui l’errore di percezione di un guasto che non c’è). Il supercomputer è vittima del contrasto tra la priorità della salvaguardia della missione e quella delle vite di Frank e David. Contrasto indotto proprio dai suoi programmatori umani, che hanno messo una menzogna nella sua mente.
L’evoluzione dell’uomo
La macchina intelligente fallisce come step evolutivo dell’uomo. Non sarà dunque la tecnologia la chiave per le porte della sua trasformazione. Agli uomini serve un intervento esterno, estraneo ad essi. Il finale lascia diverse interpretazioni, ma quella più fedele a quella di Kubrick (il regista confessò la spiegazione delle ultime scene solo nel 1980 in un’intervista emersa solo nel 2018) vede David rinascere per mano di entità quasi divine.
Sono delle creature di pura energia ed intelligenza, senza forma o aspetto, a mettere il protagonista in una specie di “zoo umano” dove non c’è il senso del tempo. Una stanza replicante (in modo inaccurato) l’architettura francese. Un ambiente accogliente dove le entità studiano l’uomo per poi trasformarlo in un essere superiore (superuomo) e rimandarlo sulla Terra.
Il superuomo di Nietzsche
Stanley Kubrick è stato il cineasta che più di tutti è riuscito a rappresentare la complessità della filosofia di Friedrich Nietzsche. È nel libro del filosofo “Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno” che si possono riscontrare le fonti interpretative raffigurate dal regista newyorkese. I temi dell’eterno ritorno e la profezia dell’avvento del superuomo, con la discesa del profeta Zarathustra tra gli uomini per insegnare loro a liberarsi dei propri limiti (ciò che farà il Bambino delle Stelle una volta tornato sulla Terra)
Se tale filosofia è inaccessibile, l’opera filmica rispedisce le tante domande dello spettatore al mittente, senza dare troppe spiegazioni e prediligendo la pura ambiguità artistica. Ciò che ci viene mostrato è un viaggio verso l’evoluzione del genere umano, con un ritorno alla purezza, attraverso il rifiuto del dominio della ragione. E se lo stesso Nietzsche definisce il suo libro “il più profondo che sia mai stato scritto”, ci sentiamo in dovere di definire il capolavoro di Kubrick come il più profondo che sia mai stato diretto.
Pochi dialoghi e la meraviglia audiovisiva
La parola è pressoché assente. Non c’è alcun dialogo nei primi 25 minuti del film, così come negli ultimi 23 minuti (esclusi i titoli di coda). Nel film, dai ritmi quasi documentaristici, si parla poco. Sembra un paradosso se si pensa alla mole di dialogo che, sin dalla sua uscita, ha scatenato tra pubblico e critica.
Ma sono le immagini e la colonna sonora a parlare in questa opera che ipnotizza lo spettatore, deliziandolo con inquadrature uniche ed irripetibili e celebri brani di musica classica. Su tutte le scene accompagnate dalle note di Così parlò Zarathustra, poema sinfonico di Richard Strauss ispirato proprio all’omonimo libro di Nietzsche. Quella iniziale dell’ominide che usa l’osso come un arma, dopo l’incontro con il monolite, e quella finale con David trasformato ad essere nuovo (sempre per mezzo del monolite), chiudendo il ciclo del ritorno alla purezza.
Un esperienza sensoriale travolgente
Vedere “2001: Odissea nello spazio” è come perdersi nella bellezza di un dipinto, lasciarsi andare alle dolci parole della poesia. Eppure, alla première del film a Washington davanti ad un pubblico di politici e produttori, Kubrick assiste ad una stroncatura totale. Contò una ad una le 241 persone che uscirono prima dei titoli di coda. Arthur C. Clarke andò via in lacrime e i quotidiani del giorno dopo bocciarono il film.
Basteranno poche altre proiezioni per ribaltare completamente i punti di vista. I giovani cinefili del tempo, pur non capendolo a pieno, lo definirono un’esperienza sensoriale travolgente e tecnicamente superiore a qualsiasi cosa vista prima. La critica farà marci indietro definendolo un indiscutibile capolavoro e l’opera sarà il più grande successo del regista e cambierà per sempre il volto del cinema.
“Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico e allegorico del film. Io ho cercato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio“. Stanley Kubrick
Seguici su MMI e Metropolitan cinema