Con Dunkirk (2017) Christopher Nolan esplora le possibilità del racconto storico, mescolando per la prima volta eventi reali al suo ormai riconoscibilissimo stilema cronologico. Tre diverse linee temporali rappresentano infatti l’evacuazione di Dunquerque, avvenuta nel 1940 poco prima dell’invasione nazista della Francia.
Terra, mare e cielo sono i tre luoghi in cui Nolan fa interagire il suo cast grandioso – tra cui ricordiamo Tom Hardy, Cillian Murphy e Kenneth Branagh – e una massa oceanica di comparse. Solennità sembra essere la parola d’ordine di questo film che fa della paura e della solitudine dei soldati il suo nucleo principale.
La Storia e il dramma di Dunkirk
Dunkirk o Dunkerque è la spiaggia della regione dell’Alta Francia, sulla Manica e al confine con il Belgio, su cui si trovarono confinati oltre 400.000 uomini dell’esercito inglese. Costretti alla ritirata e sotto attacco aereo e sottomarino da parte dei tedeschi, gli eserciti alleati mostrarono una grande vulnerabilità proprio all’inizio del conflitto mondiale. L’operazione di salvataggio fu lunga e complessa, oltre che controversa.
Da un lato costituì una straordinaria vittoria morale, dall’altro fu una grave disfatta militare, che consegnò la Francia in mano a Hitler. Nolan sfrutta e amplifica il pathos che questo evento già possiede in sé e lo fa attraverso una coraggiosa scelta di scrittura, il silenzio. I dialoghi sono infatti sparuti e brevi, ed è nella loro assenza che si condensa il dramma della guerra.
Ogni uomo è solo, in lotta per la propria sopravvivenza prima ancora che per quella dei commilitoni. Ogni soldato sogna casa, la Gran Bretagna che si intravede all’orizzonte oltre la Manica. Il senso di abbandono pervade il film molto più dell’eroismo. Il pubblico è di fronte a migliaia di uomini, molti giovanissimi, confusi e terrorizzati da un nemico potente e invisibile. La brutalità e l’insensatezza della guerra emergono senza lasciare respiro, circondando aria, acqua e terra.
Il molo, il mare e il cielo
Una settimana, un giorno e un’ora, sono questi rispettivamente gli archi temporali che si intrecciano in Dunkirk sui tre fronti dell’operazione militare. Nolan inganna inizialmente lo spettatore, facendoli sembrare contemporanei, quando invece è solo alla fine che vanno a coincidere. Ormai maestro in questo campo, il regista si diverte ancora una volta a giocare con gli incastri temporali, stilema del suo stesso cinema.
Questa volta però lo fa in maniera abbastanza lineare, guidando man mano lo spettatore verso la comprensione dei tre diversi momenti narrativi. Ciò che muta fra loro, ovviamente, è il diverso tempo del racconto. Il racconto del molo è sicuramente quello più falciato dal montaggio, riassunto solo nei suoi momenti salienti. Ognuno di essi tuttavia costituisce un tassello essenziale allo sviluppo degli altri, sottolineando anche il destino comune degli uomini in guerra.
Nolan e la grande impresa del war film
Nolan non è estraneo a film dal cast corale, basti pensare a Inception (2010), ma in Dunkirk oltrepassa la sua stessa zona di comfort, lavorando in un’ottica colossale. Affida il ruolo da protagonista a un giovanissimo e semisconosciuto Fionn Whitehaed, ma lo affianca a una rosa di attori britannici famosissimi. Oltre ai già citati Murphy, Hardy e Branagh, si ricorda anche il Premio Oscar Mark Rylance o persino il debutto del celebre cantante Harry Styles.
Ciò che colpisce maggiormente, tuttavia, ben oltre la rilevanza dei nomi, è il modo in cui Nolan orchestra il suo stesso cast. C’è un interessante equilibrio fra la solitudine e l’unicità di alcuni personaggi e la massa titanica dei soldati sulla spiaggia. Come onde, migliaia di uomini si muovono insieme e si fanno scudo al suono degli aerei tedeschi. Vivono una straordinaria condizione di simbiosi con i propri compagni d’armi, tutti impotenti e quasi privi di speranza. Diventano un’unità, un ulteriore e fondamentale personaggio del film.
Non c’è traccia di celebrazione in Dunkirk e in questo si nota l’anima europea del film. La seconda guerra mondiale, soprattutto nelle prime fasi, era nel pieno controllo dei nazisti, era un mondo diverso che faceva paura. Più che l’orgoglio militare Dunkirk trasmette quindi lo sgomento e persino l’umiliazione degli eserciti alleati, restituendo anche molta umanità e vulnerabilità agli soldati che ne facevano parte.
Articolo di Valeria Verbaro