Benvenuti nella nostra rubrica di narrativa StoryLine. In occasione del settantacinquesimo anniversario di questa grave tragedia umana, abbiamo deciso di dedicare il nostro racconto di oggi al bombardamento di Hiroshima e ai suoi sopravvissuti. Questi sono detti in giapponese hibakusha, una parola che letteralmente significa “persona esposta alla bomba”. Ci siamo infine liberamente ispirati alla testimonianza del futuro generale dei Gesuiti Padre Pedro Arrupe
Hiroshima, l’inizio
Quella luce accecante del primo mattino gli annebbiava ancora gli occhi mentre si preparava velocemente ad uscire dalla Missione di Hiroshima. Nella sua mente avanza l’idea che quel giorno fosse giunto, che la fine del mondo stesse arrivando mentre la luce divina annunciava il giudizio finale. Nonostante questo Padre Pedro Arrupe aveva compreso che bisognava uscire a vedere perché quella forte esplosione udita insieme a Padre Angel non appena aperta la porta non lasciava dubbi. Senza indugiare corse sulla collina dove Padre Angel lo attendeva. Di fronte a loro una massa densa di fumo e fiamme che lentamente mostrava il corpo incenerito di quella che una volta era Hiroshima. “Dobbiamo andare”, disse Padre Arrupe, “hanno bisogno di noi”. “Andare dove?”, ribattè Padre Angel, “non c’è nessun dove, non c’è più niente”. “Sulla strada che Dio ci indicherà”, rispose Padre Arrupe. Mentre si apprestavano ad entrare in città qualcosa sembrò fermarli. Da lontano arrivava un gruppo di giovani donne sfigurate e ferite che si reggevano tra di loro mentre dalle case venivano fuori fiamme causate dalle cucine appena accese per la prima colazione. Padre Arrupe vide Padre Angel coprirsi il volto e tornare indietro spaventato da quelle donne che portavano su di se il peso del dolore di quella che sembrava rivelarsi un’immane tragedia. Poi qualcosa li distrasse e li spinse oltre. Si trattava del pianto di due bambini che erano rimasti soli in una grande piazza davanti a cumuli di macerie da cui si intravedeva fumo e carne umana.
La mano dell’uomo
“Come vi chiamate figlioli?”, disse Padre Arrupe sforzandosi il più possibile di parlare in corretto giapponese. “Io sono Keiji e questo è Issei”, rispose uno dei due bambini indicando l’altro, “vivevamo in un palazzo che era qui, cerchiamo i nostri genitori”. “I vostri genitori”, disse sconsolato Padre Angel guardando la desolazione intorno a lui. Padre Arrupe sembrò volerlo richiamare. Poi quando lentamente l’odore di carne bruciata cominciò lentamente ad entrare nelle sue narici non potè fare a meno di inginocchiarsi insieme a Padre Angel e pregare. “Perché Dio ha fatto tutto questo?”, chiese questi a Padre Arrupe. “Dio”, rispose Padre Arrupe, “non è stato Dio ma la mano dell’uomo intrisa dalla brama di potere”. Qualche minuto dopo si rialzarono poi senza dir nulla, comprendendo che era inutile e impossibile andare avanti dove il fumo si alzava denso, presero i bambini e tornarono indietro. “Venite”, disse Padre Angel,”andiamo a mangiare qualche dolce”. Venti minuti dopo giunsero nuovamente alla Missione di Hiroshima mentre centinaia di feriti cominciavano ininterrottamente ad arrivare. Padre Arrupe restò per un attimo senza parole vedendo quel deplorevole spettacolo poi vide una persona conosciuta avvicinarsi. “Dottor Nagai”, disse guardano la gamba fasciata del medico di fronte a lui, “cosa le è successo? Lei dovrebbe riposarsi”. “Riposarsi”, disse Nagai indicando la massa di feriti, “li guardi lei si riposerebbe? Ma lo sa cosa è successo oggi?”. “Un bombardamento americano suppongo”, rispose Padre Arrupe. “Si ma questo non è un bombardamento normale”, disse sconsolato Nagai,”è un bombardamento atomico. Significa che oggi molte persone moriranno e tra vent’anni altre continueranno a morire”.
Hibakusha, i sopravvisuti
Padre Arrupe entrò nella Missione per rendersi conto della situazione. Intorno a lui c’èra una massa deforme di feriti e ustionati che si contorcevano per il dolore come fossero posseduti. Fu quasi rasserenato quando vide i piccoli giapponesi che aveva trovato mentre mangiavano avidamente alcune ciotole di riso. “Forse hanno già la leucemia, forse no”, asserì Nagai avvicinandosi, “quello che più fa rabbia che nonostante questo l’esercito giapponese non vuole arrendersi e farla finita. Non parlano di un così grave disastro e certamente non riconosceranno i superstiti come sopravvissuti ma sa come li definiranno? Hibakusha”. “Cioè?”,chiese padre Arrupe. “Semplicemente persone esposte alla bomba per non turbare il loro senso di colpa nei confronti dei morti. In verità la colpa è solo loro del loro fottuto nazionalismo”. Padre Arrupe interruppe il dottor Nagai avvicinandosi alla cappella. “Cosa fa Padre?”, gli disse Nagai afferrandolo per un braccio, “è pieno di feriti, non vorrà mica dire Messa adesso?”. “Si dobbiamo chiedere perdono a Dio” disse Padre Arrupe, “per l’uomo che non ama più il suo prossimo”.