Tenet, un film che farà parlare di sé. È difficile spiegarlo o riassumerlo, ma il segreto è fare proprio come il personaggio di Robert Pattinson consiglia al Protagonista interpretato da John David Washington: non dovete sforzarvi di capire, dovete sentire. Sentire abbandonandovi non solo ai cinque sensi, ma anche al sesto: lo stomaco, l’istinto. Abbandonate ogni speranza, o voi che entrate nella sala cinematografica: la pellicola non è di comprensione immediata.
È forse questa la caratteristica dei film originali di Christopher Nolan, indipendentemente da quanto possano caricarvi di adrenalina durante la proiezione, rimangono ingarbugliati, avvolti da una fitta nebbia. Lasciano con la sensazione che quello di cui siete stati spettatori non è tutto, non quella cosa che il regista voleva che voi ricordaste. E quindi ecco che partono i ragionamenti post-visione, le congetture, il cercare una spiegazione alle cose, al tempo. Il tempo è proprio la firma di Nolan, ci gioca come un gatto farebbe con un topo tenendolo bloccato dalla coda. Lo abbiamo visto in forma onirica con Inception, vissuto nelle profondità dello spazio di Interstellar, cavalcato nella storia di Dunkirk. Sappiate che se volete addentrarvi in Tenet dovete giocare secondo le sue regole: dovete ragionare in reverse.
Crepuscolarismo ed entropia
“Viviamo in un mondo crepuscolare”, dicono, ma cosa significa? Amo pensare che questa frase, ripetuta più volte durante il film, sia l’anticamera dello scioglimento dell’enigma di Tenet. Il crepuscolarismo indica una corrente poetica che si allontana dai toni aulici ed eroici precedenti, in cui il poeta rinuncia al ruolo da protagonista limitandosi a mero ruolo marginale, ad una pedina, ad un mezzo. È così che bisogna approcciarsi ai personaggi: non troverete uomini e donne in cui immedesimarvi, piuttosto ognuno di essi, compreso il Protagonista, è semplicemente una pedina nel grande quadrato dell’enigma di Tenet, un tassello della sua storia. E più vi avvicinerete alla fine del film – o all’inizio? – più capirete che ogni tassello, o comunque la maggior parte di essi, tornerà al proprio posto.
Lo scorrere del tempo resterà uno di quei concetti che, per quante spiegazioni la scienza possa dare, sarà difficile da comprendere appieno. A volte sembra scorrere più velocemente, altre volte sembra rallentare. Giovinezza, invecchiamento, vita, morte, è tutto un gioco contro di lui. Cosa accadrebbe se catturassimo quel qualcosa, quella legge fisica, quell’essenza, che rende il tempo una successione di causa ed effetto? Cosa accadrebbe se potessimo invertirlo? Il segreto, come afferma la scienziata interpretata da Clémence Poésy, è l’entropia. Tenet è fondato su questo, sull’inversione dell’entropia di un oggetto, di un momento. Sfida la nostra concezione del tempo e la riavvolge.
La palindromia del quadrato del Sator
Fin da quando è stato svelato il titolo del film sono state fatte congetture sul suo significato. Tenet porta al quadrato del Sator, un’iscrizione latina palindroma in forma quadrata composta da parole che in qualsiasi verso si leggano creeranno sempre la stessa frase: sator arepo tenet opera rotas. Nel tempo sono stati dati vari significati a questa frase, ed è ovvio ricercarne la connessione con la pellicola. Ma il punto non è cercare esattamente il quadrato nel film, piuttosto è comprenderne il senso filosofico.
Tra le diverse interpretazioni date alla metafora, c’è sempre un creatore o seminatore (sator) che dirige (tenet), questa è la costante che a noi interessa. Tenet è la parola fulcro della frase considerata magica, quel cuore che è un punto fisso nel reverse, e che nel film diventa anche una sorta di frase in codice tra agenti della società segreta. Poi c’è sator, il creatore o seminatore della metafora, nel film impersonato dal villain Andrei Sator, interpretato da Kenneth Branagh. Ma, in fondo, il quadrato del Sator è un enigma che ha attraversato il tempo senza una soluzione. E forse anche questo vuole dirci qualcosa del film.
Tenet divide a metà
C’è chi lo ha definito troppo ambizioso, eccessivamente enigmatico, confusionario. Tenet sta dividendo la critica internazionale e farà la stessa cosa con il pubblico. C’è chi si abbandona passivamente al coinvolgimento a tenaglia delle sequenze d’azione e chi invece non si arrende e vuole cercare una spiegazione. In altre parole, c’è chi segue il pensiero del personaggio interpretato da Dimple Kapadia “l’ignoranza è la nostra arma” e chi si schiera con il Protagonista e non lo accetta. Forse in questo caso l’ignoranza è nostra amica, o piuttosto può esserlo l’abbandono alla “res” che inizia “in medias” e continua a scorrere in avanti, all’indietro, rincorrendosi, agganciandosi e trascinandosi.
Come Christopher Nolan stesso dice, prima dell’esistenza della cinepresa le persone non erano in grado di concepire il movimento rallentato o invertito. È grazie a quel mezzo che oggi tutti sanno come un movimento slow o in rewind sia. Ed è solo grazie a questa consapevolezza che il regista ha potuto e voluto creare questo film. Tenet è un’esperienza, una sperimentazione, e come tale va approcciato, compreso e vissuto.
Sì, ma di cosa parla?
Tenet è una spy story sci-fi che si costruisce intorno al Protagonista interpretato da John David Washington. Questo agente, disposto a morire pur di non tradire la sua causa, viene inserito in un’organizzazione segreta di nome, appunto, Tenet, il cui obiettivo è sventare un evento peggiore di una terza guerra mondiale, un qualcosa di freddo, di inesistente… finché non scoppia. Tenet parla della lotta alla sopravvivenza, non solo del personaggio principale, ma anche e soprattutto dell’umanità. Il tutto così come il vero protagonista della storia comanda: a tempo di reverse.
Tutto quello che posso darti è una parola: Tenet.
Aprirà le porte giuste, e anche alcune sbagliate.
Usala con cautela.
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