È del primo settembre l’ennesimo caso di cronaca che mette in luce il problema della prostituzione minorile. Dai festini della Bologna Bene a base di droga, al caso delle baby squillo dei Parioli, per arrivare a Ruby “Rubacuori”. È chiaro che abbiamo un problema e che lo stiamo raccontando male.

Le Baby squillo non sono “Femme Fatal”

Quando si parla di ragazzine che fanno sesso per soldi con uomini adulti, la tendenza dei giornali, ma anche delle serie tv, è sempre la stessa. Lo abbiamo capito grazie a Nabokov, che ci ha raccontato una storia di pedofilia dal punto di vista dell’aguzzino, romanticizzata nella cultura popolare. Quindi, nelle pagine di cronaca, sentiamo spesso parlare di ragazze giovani che si prostituiscono per comprare vestiti o telefonini, giocando a fare le ammaliatrici con uomini più grandi e più potenti. Non dovrebbe stupirci che una ragazza di 17 anni, che partecipa ai festini di Berlusconi come escort, venga soprannominata “Rubacuori”.

Il caso di cronaca da cui deriva la serie di Netflix

 L’inchiesta sulle baby squillo dei Parioli, si svolse tra il 2013 e il 2014. Floriani, come molti altri clienti, hanno usato come difesa un emandamento di Alessandra Mussolini (moglie di Floriani), secondo cui il reato di prostituzione minorile non sussiste quando le ragazze mentono sulla loro età. Quindi, ancora una volta, abbiamo scelto di responsabilizzare delle ragazze (di 14 e 15 anni) per una bugia, ma non degli uomini per aver fatto sesso con delle potenziali minorenni. Dalle inchieste si venne a dipingere un quadro sconfortante. Adulti che intessono relazioni sentimentali con 14enni, per poi vendere i loro corpi e lucrarci (come nel caso di Mirko Ieni), o che usano video pedopornografici e cocaina per tenere sotto controllo le ragazze. Nel mirino finì anche la madre di una di loro, colpevole di aver assecondato la figlia nella prostituzione, per un tornaconto economico.

L’inchiesta di Repubblica, però, sotterra tutti questi dettagli agghiaccianti con una retorica ammiccante e voyeuristica. Repubblica infatti, usa il virgolettato per definire gli sfruttatori e che indugia sulle spese folli e la droga consumata dalle ragazze.. La cocaina, in questi contesti, viene usata come arma per tenere sotto controllo le ragazze, e non ha nulla di edonistico. Spesso non ci rendiamo conto che una persona dipendente da stupefacenti è manipolabile e fragile, non una seduttrice spietata.

Baby è l’ennesima narrazione tossica sulla prostituzione minorile

La serie Tv “Baby”, uscita nel 2018, voleva partire da questo caso di cronaca per costruire un teen drama in pieno stile Netflix. Il target giovanile del prodotto ha ovviamente decretato dei cambiamenti, e la vicenda torbida non è altro che uno sfondo. Usare però un caso di cronaca per pubblicizzare una serie, , comporta delle responsabilità. Quello che gli sceneggiatori hanno fatto è rendere molto più patinata la vicenda, facendo passare il messaggio che prostituirsi, sia un gioco. Rendere le protagoniste degli stereotipi da teen drama, bellissime e ansiose di emozioni forti, rende la prostituzione minorile glamour, scagionando gli adulti che se ne approfittano. Mirko Ieni viene dipinto come il classico bad boy, rude ma affettuoso, e non come un viscido sfruttatore. Persino i clienti vengono trattati con benevolenza dagli sceneggiatori.

Noi di Brave pensiamo che il problema non è la serie, ma è sicuramente un segnale che non siamo ancora in grado di trattare temi delicati, come questo.