Finchè il caffè è caldo di Toshikazu Kawaguchi, uscito in Italia per Garzanti, ha conquistato in pochi mesi le classifiche di vendita. Romanzo d’esordio dello sceneggiatore e regista giapponese, inizialmente scritto per il teatro infatti, ha sorprendentemente conquistato una vasta e trasversale platea di lettori.
Sorprendentemente perché Kawaguchi affronta un tema molto vecchio e molto battuto: quello dei rimpianti, del desiderio di tornare al passato e dell’importanza del presente. Dai filosofi greci al carpe diem oraziano infatti, tutti hanno affrontato il tema della vita come eterno presente. “Bisognerebbe cogliere ogni attimo, cercando di non lasciarsi sfuggire nessuna occasione”. Eppure, nonostante la consapevolezza, viviamo gran parte del nostro tempo rivolti al passato, mentre il presente fugge, e la paura del futuro ci tiene sospesi.
Se solo potessi tornare indietro!
Quante volte abbiamo pronunciato questa frase con la quale potremmo riassumere tutte le 192 pagine di questo libro?
Finchè il caffè è caldo
Al centro della storia c’è un caffè giapponese dove, leggenda narra, si possa viaggiare nel tempo. Sedendosi su una determinata sedia infatti e bevendo una tazza di caffè caldo, si può tornare indietro: a quel momento che non abbiamo saputo cogliere, a quella parola che non abbiamo saputo dire, a quella lettera che non abbiamo voluto leggere, a quella persona che non abbiamo potuto incontrare. Chi, superando incertezza e paura, decide di oltrepassare quella soglia per sedersi su quella sedia, deve però avere consapevolezza del fatto che qualunque cosa dica o faccia nel passato, il presente non cambierà. L’attenzione deve rimanere alta, non bisogna lasciarsi andare all’emotività, perché se il caffè dovesse raffreddarsi, si potrebbe tornare al presente solo come fantasma. Infine, non è possibile incontrare nel passato persone che non siano state almeno una volta in quel caffè.
È così che conosciamo Fumiko che ha perso l’uomo che amava per non essere riuscita ad esprimere i suoi sentimenti; Kotake che a causa della malattia del marito, non essendo da lui riconosciuta, non riesce essa stessa a riconoscersi; Hirai che vive nel rimorso e nel dolore per aver perso la sorella tanto amata che per egoismo non ha voluto incontrare. E infine, un viaggio nel futuro: quello di Kei, incinta e malata, che vuole conoscere quella figlia che metterà al mondo a costo della vita.
Serve solo cuore
Toshikazu Kawaguchi è ottimisticamente convinto, cito testualmente, che la gente troverà sempre la forza di superare tutte le difficoltà che si presenteranno, e che per farlo serva solo cuore. Non a caso forse, le storie narrate sono solo storie di donne, perché le donne sono più riflessive, hanno maggiore capacità di rieducazione nel tempo e di introspezione. Rimane il fatto che le sue pagine, scorrevoli quanto scarne, non approfondiscono se non nell’ultima storia, la psicologia e i sentimenti dei personaggi. Kawaguchi rimane sempre in superficie, sempre fra le righe, quasi volesse lasciare al lettore la possibilità di costruire quella storia, di entrarci e trasformarla nella propria storia.
Ognuno di noi infatti, ha perso un amore, un parente, un figlio reale o immaginario. E alla fine il viaggio nel passato, che qui nulla ha a che vedere con tutta la fantascienza che abbiamo visto e letto, diventa come consolatorio; un accomodamento mentale per riuscire a sopravvivere al dolore di quella perdita che è diversa per ognuno. Scrive infatti: le persone non vedono le cose e non sentono le cose nella maniera oggettiva che credono. A distorcere le informazioni visive e uditive che entrano nel cervello intervengono i pensieri, le circostanze, i pregiudizi, le conoscenze, la consapevolezza e un’infinità di altri meccanismi cerebrali.
Sono quei meccanismi che ci aiutano ad andare avanti, meccanismi senza i quali davvero il presente ci sfuggirebbe completamente. Grazie a quei meccanismi, nei nostri viaggi nel passato, inventiamo un dialogo che non c’è mai stato, una lettera che non abbiamo mai visto, una persona che non è mai esistita, tutte cose che al ricordo facciamo diventare reali per darci quelle risposte che ci alleviano il dolore. Perché qui, i viaggi nel tempo, parlano delle difficoltà delle relazioni e del nostro modo di affrontare i sentimenti. Tutti, orgoglio compreso.
infine…
Vogliamo leggere così l’idea, il messaggio di Kawaguchi; non vogliamo credere che volesse solo ricordarci che il presente è più importante del passato, perché di quel passato siamo fatti e il futuro potrebbe non esistere. Vogliamo leggere dentro le sue pagine, il desiderio di aiutare l’umanità dolente. Di due cose rimaniamo però certi: che la vita senza i bar sarebbe meno interessante, e che se per Mimnermo la brevità della vita era pari al battito d’ali di una mosca, per Toshikazu Kawaguchi è breve quanto una buona tazza di caffè.
Cristina Di Maggio
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