Aborto in Pandemia continua. Parliamo della battaglia per la pillola abortiva. Ignorate le nuove indicazioni sulla RU486.

Sappiamo che le helpline per l’aborto in tutta Europa hanno segnalato una maggiore domanda per i loro servizi. Sappiamo che questo avviene poiché le nuove restrizioni anti Covid-19 rendono complessa la procedura più di quanto già non sia.

Nuovi ostacoli si aggiungono agli ostacoli che molte donne devono affrontare normalmente per accedere all’aborto.

Dopo lo studio della condizione sanitaria della donna nella prima ondata del Coronavirus, torniamo a parlare di Aborto, Emergenza Medica, Pillola Abortiva. Evidentemente, nonostante la battaglia della Ru486 ci è parsa vinta, non molto è cambiato.

Leggi: Coronavirus blocca gli aborti: consegnare a casa la pillola Ru486

Aborto in Pandemia: la seconda ondata

Per questa seconda ondata, una luce – e una parziale soluzione – si era vista durante l’estate.

Quando il ministro della Salute, Roberto Speranza, aveva approvato le nuove linee di indirizzo per l’aborto farmacologico, sembrava si fosse annullato l’obbligo di ricovero con una serie di conseguenze positive. Inoltre il periodo di somministrazione della pillola era stato prolungato fino alla nona settimana (come avviene già nel resto d’Europa).

Una vittoria arrivata in seguito alle proteste delle associazioni e dei sanitari non obiettori dopo le difficoltà di marzo (di cui puoi leggere qui la nostra partecipazione sul territorio).

Ma soprattutto dopo il caso dell’Umbria, che aveva vietato la somministrazione della Ru486 in day hospital (puoi leggere qui il nostro articolo).

Femminismo romano scende in piazza al Ministero della Salute - BRAVE
Pro Choice, locandina proteste per la Ru486

Peccato che da allora siano pochissime le regioni ad aver recepito le nuove regole. Anzi, in alcuni casi si cerca di ostacolare la decisione ministeriale, come in Piemonte. Una dichiarazione:

«Le linee guida sono utili, ma risolvono alcuni problemi solo sul piano tecnico, e se mancano medici non obiettori e se le regioni si rifiutano di adottare le nuove indicazioni, resta tutto inutile

Aborto in Pandemia, nuovi problemi: i tamponi positivi

E così in questa seconda ondata i problemi non solo non sono stati risolti e quindi si ripresentano. Addirittura si moltiplicano.

L’enorme numero di positivi che non sembra arrestarsi è un’incognita che gli ospedali non sanno gestire. Arrivano quindi una serie di domande:

aAle pazienti che devono sottoporsi a IVG serve il tampone?

E se è positivo, come si può rimandare un aborto?

Ecco alcune risposte per voi:

  • Alcuni presidi ospedalieri lo richiedono solo per il ricovero, e non per il day hospital. Altri, essendo “covid free”, non accettano positivi, in nessun caso. E così, con molti presidi chiusi alle ivg e altri che non prevedono percorsi per positive, capita spesso che una donna debba macinare ancor più chilometri per trovare un ospedale disponibile.
  • In aggiunta, per ottenere un tampone, ormai, servono giorni.
    «Anche se lo spostamento per motivi di salute resta valido, è tutto ridotto. Ci occupiamo di indirizzare le donne nei centri che sappiamo aperti, abbiamo anche preparato una lettera da inviare in caso che l’ospedale non voglia prendersi carico della situazione»
    spiega Lisa Canitano, ginecologa e presidente di Vita di Donna, che opera soprattutto nel Lazio.
  • A livello nazionale le indicazioni (che potete leggere qui) date e seguite sulla questione tamponi risalgono a marzo, ma riguardano solo “gravida-partoriente, puerpera, neonato e allattamento”. La cosa sconvolgente è che l’ivg non è menzionata.
  • Alcuni ospedali, però, adottano lo stesso quelle indicazioni anche per le donne che devono abortire. Questo implica che, in caso di positività, la paziente debba essere trasferita in uno dei Centri Hub di riferimento identificati a livello regionale.

Aborto in Pandemia: Obiezione di coscienza

Ecco che sommato con altri problemi, primo fra tutti l’obiezione di coscienza, si rallenta il processo nella sua interezza. Si rallenta un processo già rallentato e ostracizzato, perciò i risultati sono devastanti. Così denuncia Marina Toschi, ginecologa che fa parte di Pro-Choice, Rete italiana contraccezione aborto:

«Dovremmo essere noi quelle che obiettano, perché intere zone del paese sono isolate. Io le IVG le farei pure in ambulatorio, ma non posso rischiare di essere radiata. La multa per le donne, poi, è di 10mila euro»

E questo è solo l’inizio dell’incubo che possono portare le donne addosso, come conseguenza dell’accumulo di scelte sbagliate nella gestione della sanità.

Viaggi nelle altre regioni: un’odissea al femminile

«L’ospedale a cui mi sono rivolta per abortire mi ha rifiutata perché non ha una corsia per le positive, così dovrò aspettare un nuovo tampone fra quattordici giorni. Ma il tempo passa»

Aborto in Pandemia, Obiezione Respinta

Questo è uno dei tanti racconti di donne che in questo momento stanno vivendo questa difficoltà. Ma essere costrette a rimandare non è l’unico problema.

Nelle Marche, ad esempio, tanti ospedali sono Covid-free, come Ascoli Piceno: per abortire lì bisogna essere negative al Covid. Se non è così, o se non si riesce a ottenere un tampone in tempi utili, non resta che spostarsi nell’ospedale più vicino, a Pesaro. Dove, però, il tasso di obiezione è alto. E ad Ancona? Lì non si effettuano aborti se non in una struttura privata convenzionata con il pubblico.

La situazione della Ru486, della legge 194 e altre questioni irrisolte:

«Una volta si diceva “evviva la 194 perché ogni bambino può dire di es-sere desiderato”, ma perché quarant’anni fa funzionava bene»

aggiunge la dottoressa Toschi, che lavora in Umbria, regione in cui le due più grandi città non hanno mai distribuito la RU486, a dieci anni dalla sua approvazione in Italia.

Ma ecco un’altra panoramica sul territorio, per aiutare le nostre lettrici a destreggiarsi:

Ad oggi solo i presidi di Foligno e Città di Castello sono a pieno regime in tutta la regione. Conclude così Marina Toschi:

«Da marzo a Terni anche le IVG chirurgiche sono bloccate, Orvieto è stato chiuso per casi Covid. Dove andare? Mi ritrovo a organizzare viaggi verso il Lazio e la Toscana, come quarant’anni fa gli aerei verso Londra. All’epoca all’università non si insegnava a praticare gli aborti, imparavamo clandestinamente, usando delle pompe e arrangiandosi. Ma ora che sappiamo farlo, non abbiamo i mezzi : ci sentiamo frustrati»

#staybrave

Seguiteci per l’ultimo capitolo, domani alle 10:30, di

Aborto in Pandemia:
Soluzioni e esempi virtuosi

Articolo di: Maria Paola Pizzonia (Rae Mary)

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