Patrick Zaki ha 29 anni e dal 7 febbraio è rinchiuso in un carcere in Egitto, perché colpevole di pensarla in modo diverso da chi governa il suo paese. Niente da fare per lo studente dell’Università di Bologna in carcere al Cairo da oltre 300 giorni. Intanto il presidente egiziano è all’Eliseo da Macron. La rabbia delle Ong per i diritti umani. Amnesty: necessaria un’azione internazionale.

Il giovane, ricercatore per i diritti umani, è parte del programma Gemma all’università di Bologna. Per il programma Erasmus Mundus dell’Unione Europea prende parte al master in studi di genere e delle donne, Master coordinato dall’Università di Granada. Il giovane appartiene alla comunità cristiana copta. Probabilmente il suo caso rientra nei tanti casi simili di violenza contro i copti e contro gli attivisti ed i ricercatori che accadono troppo spesso all’aeroporto de Il Cairo. Da sempre impegnato nel campo dei diritti umani, nel 2017 aveva iniziato a lavorare per l’Egyptian Initiative for personal rights, una tra le più grandi organizzazioni egiziane per i diritti. Aveva interrotto la collaborazione quando era partito per Bologna per potersi dedicare ai suoi studi.

Era il 7 febbraio quando il giovane ricercatore, che rientrava da Bologna alla sua città natale per una breve vacanza, è stato fermato all’aeroporto. La NSA lo ha arrestato senza un apparente motivo, bendato e ammanettato, e gli agenti lo hanno sottoposto ad un interrogatorio di 17 ore. Oggetto dell’interrogatorio il suo lavoro nell’ambito dei diritti umani. Le accuse contro Patrick Zaki vanno da diffusione di notizie false a istigazione alla violenza e ai crimini terroristici a incitamento alla protesta. Pare che durante l’interrogatorio il giovane abbia subito violenze psicologiche e minacce, e sia stato vittima di torture con scosse elettriche oltre che vittima di pestaggio.

Già il giorno successivo all’arresto i giudici del tribunale di al-Mansoura hanno deciso per la detenzione di 15 giorni in attesa delle indagini. A quanto pare le accuse fanno riferimento ad alcuni post che il giovane ricercatore ha pubblicato su facebook, ma nemmeno il suo avvocato ha avuto il permesso di esaminare i post in questione. Detenuto a Talkha, vicino alla sua città d’origine, il giovane ha comunque potuto vedere la sua famiglia in attesa di tornare in tribunale.

Si era dichiarato innocente e aveva chiesto al giudice di verificare l’autenticità dei post su Facebook, sulla base dei quali è accusato di propaganda sovversiva. Nelle carceri del Generale Al Sisi sono rinchiusi oltre 60 mila oppositori politici. La decisione arriva dopo l’udienza che si è tenuta ieri al Cairo cui hanno preso parte anche i delegati diplomatici di Italia, Germania, Olanda, Canada e l’avvocato dell’Unione europea. Sempre ieri è stato disposto anche il congelamento dei beni di tre dirigenti della Eipr, liberati giovedì scorso dopo una forte mobilitazione internazionale.

Zaki è rinchiuso da oltre 300 giorni nel carcere di Tora, considerato uno dei peggiori al mondo. Questa enorme struttura, fondata nel 1908 dall’allora ministro dell’Interno Mustafa al-Nahhas, è divisa in quattro blocchi ed ospita al suo interno un ospedale militare e un’ala di massima sicurezza nota come «Lo Scorpione». Da tempo Ong e gruppi internazionali denunciano le condizioni di detenzione a Tora e le sistematiche e ripetute violazioni dei diritti umani che vi vengono commesse. «Siamo in una tomba. Siamo vivi, ma in una tomba», dichiaravano tramite loro parenti alcuni detenuti a Tora citati in un rapporto di Human Rights Watch, a dimostrazione del terribile stato del carcere, dove – secondo diverse ong – ai prigionieri sono inflitte torture e vengono negati i servizi medici. Nel luglio scorso Amnesty Italia aveva lanciato l’allarme anche sul rischio contagio da Covid-19 nel carcere, annunciando la morte del giornalista Mohamed Monir, che aveva contratto il coronavirus proprio a Tora. Qui sono stati detenuti, tra gli altri, gli ex presidenti Hosni Mubarak e Mohamed Morsi.

Stasera a Le Iene: Patrick Zaki, la sua storia e le sue idee

Gaston Zama ci porta a conoscere la sua storia e cosa succede ogni giorno dall’altra parte del mar Mediterraneo.

Per capirlo, grazie all’aiuto di un caro amico di Patrick Zaki, dobbiamo fare un passo indietro nel tempo: “Dal mio punto di vista quello che è successo nel 2011 ha cambiato tutto”, ci racconta, parlando della rivoluzione in Egitto come parte del più ampio fenomeno della primavera araba.

È in quel periodo che Amr e Patrick Zaki si conoscono. “A quei tempi era concentrato sui diritti dei cristiani e delle minoranze in Egitto”, ci racconta. La rivoluzione però non porta a grandi cambiamenti, e dopo il massacro del Maspero (28 manifestanti uccisi) “mi ha detto di voler dedicare la sua vita a questo”. Patrick così comincia a dedicare sempre più tempo all’attivismo.

La rivoluzione comunque finisce, i militari riprendono il controllo del paese e con l’inizio della presidenza di al-Sisi non molto sembra essere cambiato dai tempi di Mubarak: “Molti di noi hanno iniziato ad avere paura, a nascondersi, ad andare all’estero”, ci racconta Amr. “Per Patrick fu diverso, lui diventò ancora più attivo”.

È in quel momento che Patrick Zaki inizia a lavorare per una ong egiziana che si occupa di difendere i diritti e le libertà civili, che da quanto al-Sisi è in carica sarebbero costantemente violati: “Scariche elettriche, schiaffi, calci, poi hai le mani e i piedi legati, ti fanno di tutto”, racconta Amr sugli oppositori arrestati dalla polizia.

Io sono stato torturato e picchiato diverse volte in Egitto”, racconta ancora Amr. Dopo un rapimento di 36 ore, arriva la decisione di “lasciare il paese”. Non certo l’unico, perché sono migliaia ad avere lasciato l’Egitto. “La situazione dei diritti umani lì è gravissima”, ci dice Riccardo Noury di Amnesty International, raccontandoci cosa accade in quelle prigioni.

In quello stesso periodo Patrick Zaki decide di tornare a studiare e ad agosto 2019 si iscrive a un master a Bologna. Amr non perde l’occasione, dalla Germania dove è riparato, per andarlo a trovare: “Si era ambientato benissimo”. I mesi passano e a febbraio 2020 Patrick decide di tornare in Egitto. “Voglio andare due settimane dalla mia famiglia e poi torno”, ci racconta Amr.

Il 7 febbraio Patrick atterra all’aeroporti di Il Cairo e da quel momento di lui si perde ogni traccia. Quando riescono a inviargli un avvocato “ha detto che lo avevano picchiato e usato anche scariche elettriche”. Da quel momento finisce in un carcere dove si trova ancora adesso, famoso per i trattamenti disumani a cui sono sottoposti i detenuti: potete vedere le immagini di cosa succede in quel luogo nel servizio in testa a questo articolo.

Patrick Zaki è accusato di essere una specie di terrorista. “Non ha fatto assolutamente niente, era solo in Italia a studiare”, racconta Amr. Adesso lui è in carcere da 9 mesi in attesa di processo, senza nemmeno il diritto di fare una chiamata alla sua famiglia: “La prima comunicazione che abbiamo avuto è stata una lettera la settimana scorsa. Ha detto di stare bene, penso volesse tranquillizzare la sua famiglia”.

A oggi la maggioranza dei detenuti nelle carceri egiziane è rappresentata da oppositori politici. Si stima che su 110mila detenuti, siano più di 60mila i prigionieri politici. Il problema per Riccardo Noury “sono i paesi che hanno rapporti con l’Egitto, che rinunciano a porre il problema dei rapporti umani perché c’è qualcosa che viene prima”.

“Il governo italiano e quello egiziano continuano a fare accordi su armi e petrolio”, dice Amr. “Parlate con i vostri governi quando supportano una dittatura del genere”. In questi anni a spendere “una buona parola” per l’Egitto e al-Sisi sono stati in tanti, tra cui l’ex ministro Angelino Alfano e l’ex premier Matteo Renzi. “Noi ci sentiamo soli in questa lotta per la tutela dei diritti umani in Egitto”, ci dice Riccardo Noury. “Perché al-Sisi è ancora un partner dell’Italia nonostante i crimini commessi contro l’umanità?”, si chiede Amr. 

Qualcuno potrebbe pensare che le cose in Egitto, che è molto vicino all’Italia, non siano poi così gravi come le racconta Amr: “Se non credete a un egiziano, parlate con la famiglia di Giulio Regeni”, ci risponde. “Sono ormai cinque anni che dall’Egitto non riceviamo risposte alla domanda su chi e perché ha ordinato ed eseguito l’omicidio di Giulio Regeni”, ricorda Riccardo Noury. Secondo alcune fonti, prima di essere ammazzato il nostro connazionale fu torturato e seviziato e per giorni.

In questi anni i genitori di Giulio Regeni non hanno mai smesso di chiedere al nostro governo giustizia per loro figlio. Hanno sempre dichiarato che per arrivare alla verità non vorrebbero mai mostrare le foto di Giulio dopo le torture subìte.

Mentre Patrick Zaki resta in carcere, è stato arrestato anche il direttore dell’ong per cui aveva lavorato in passato. Lo scorso maggio in prigione è morto un ragazzo di 22 anni colpevole di aver messo su YouTube un video ironico su al-Sisi. Era in carcere da 26 mesi in attesa di processo, era nella stessa prigione in cui da 9 mesi è rinchiuso Patrick Zaki.