In un sondaggio del Nation Theatre di Londra del 1998, rivolto a una giuria di 800 esperti di pièces teatrali, il testo di un dramma teatrale è risultato il più significativo del XX secolo: Aspettando Godot di Samuel Beckett. Il drammaturgo è celeberrimo, più noto, quasi, con l’epiteto che gli è stato attribuito, piuttosto che con il suo nome. Beckett è infatti il padre del teatro dell’assurdo. Per capire cosa si debba intendere con “assurdo” in questo genere teatrale, si devono richiamare soprattutto certi concetti.
Il primo è quello di esistenza. Si può dire che l’interpretazione, ormai, “tradizionale” di Aspettando Godot è quella secondo la quale Beckett abbia voluto mostrare che cos’è la vita: azioni e avvenimenti insensati che avvengono durante l’attesa insopportabile ed estenuante di qualcosa che non arriverà mai.
Aspettando Godot, la morte, l’attesa
La critica ha detto anche che Godot è la morte stessa (dati i numerosi riferimenti al tristo mietitore nell’opera). È stato pure detto che le azioni che compiono i due personaggi principali Vladimir ed Estragon hanno tutte un significato simbolico da decifrare, come le tragedie greche di Sofocle e di Eschilo, in cui la catarsi si dà soprattuto nello scioglimento, da parte dello spettatore, delle simbolizzazioni insite nelle vicende drammatiche.
Il tema dell’attesa ha chiara origine cristiana, così come il suo contraltare, che la compensa, ovvero la fine. Di Godot non si sa né quando né dove arriverà, Vladimir ed Estragon si affaccendano in attività inutili e grottesche per ingannarne l’attesa. L’unica cosa che ci è nota di Godot è che, quando e se arriverà, “saremo salvi”. Qui Beckett non si riferisce ai suoi personaggi, ma all’umanità nel suo complesso. Ciò farebbe di Godot il salvatore, colui che, atteso, alla fine giunge e salva redimendo: il Messia.
Salvezza e “cultura della redenzione”
Dai chiari riferimenti giudaico-cristiani dello script si è sviluppata una interessante interpretazione che vede la funzione di esorcizzare le cattive impressioni dell’esistenza in Aspettando Godot. Tale interpretazione si basa su ciò che Leo Bersani ha chiamato “la cultura della redenzione”.
Questa formula sta a indicare come una vuota e difettosa esperienza reale, se ripetuta e ricreata nell’opera teatrale o letteraria, viene purificata e acquista un valore positivo. Dopotutto, era questo uno degli scopi principali della drammaturgia originaria, indurre la purificazione, negli spettatori, del proprio vissuto personale.
Nel caso di Aspettando Godot a dover essere “redenta” è la vacuità della vita, il disincanto di non farsi aspettative, la follia e l’istinto suicida difronte a quel “vuoto simbolico” a alla miseria della nostra esistenza che ci fanno sperare in un “Godot che salva”.
A cura di Lorenzo Pampanini
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