Quando uscì “Blackstar“, il giorno del 69° compleanno di David Bowie, fu per tutti una sorpresa. Il sound sperimentale di jazz elettronico misto ad art rock scosse i fan e la critica, che comunque accolsero favorevolmente la nuova uscita, ma si domandavano come mai tutti questi riferimenti alla morte e alla rinascita. Era forse intesa in senso metaforico? Due giorni dopo, con un colpo di teatro, il mistero fu svelato. David Bowie morì di cancro al fegato.
Il Duca Bianco lasciò questo mondo così come lo aveva abitato: creando opere d’arte. In questo senso “Blackstar” è considerato il suo testamento musicale, una profezia, ma soprattutto un simbolo di estremo amore per la vita. Trasformare le paure e le vertigini di un contatto ravvicinato con la morte in esperienza edificante per i vivi può essere considerata oggi, alla luce degli eventi, l’opera d’arte totale, come la definì Wagner.
Un album ispirato al sound di New York
Dopo le sessioni di registrazione di “The Next Day“, Bowie assistette all’esibizione dell’ensamble jazz guidata dal sassofonista Donny McClasin e decise di ingaggiarli per suonare nel nuovo album, garantendo un sound diverso dal precedente. Incredibile pensare che Bowie abbia voluto al suo fianco per l’ultimo capitolo della sua discografia dei giovani musicisti coi quali non aveva mai collaborato prima. Ancora più assurdo pensare che il jazz si fonda con lo stile hip hop elettronico di “To Pimp A Butterfly” di Kendrick Lamar.
Eppure tutto ha un senso se si pensa alla parola chiave che ha accompagnato la carriera di Bowie: sperimentazione. “Blackstar” è una stella che implode e si trasforma in buco nero, un riassunto completo delle mille vite che l’artista ha vissuto, in linea con ciò che stava succedendo nel mondo attraversato da diverse linee di crisi. Il tutto con la giusta dose di classicità ed eleganza. La voce da crooner che si staglia su melodie di sassofono rendono il disco un classico del nostro tempo.
Il mistero dietro a “Blackstar”
Diverse sono state le ipotesi di lettura dietro al titolo dell’album. Secondo alcuni, è un rimando al gergo medico per indicare una lesione causata da un tumore, secondo altri è un simbolo alchemico, il cosiddetto sol niger, oppure il nome di una canzone di Elvis Presley mai pubblicata, con il quale condivideva il giorno di nascita. Altro mistero è stato il packaging del disco a cura di Jonathan Barnbrook e che gli valse un Grammy Award e che nasconde numerosi indizi nascosti.
Alcuni fan hanno scoperto che, illuminando il vinile con luce ultravioletta (blacklight in inglese), il disco prendeva una colorazione blu fluo. Proiettandone il riflesso della luce su un muro compare una croce, secondo altri ancora un uccello, con riferimento al bluebird di “Lazarus”. Illuminando la copertina con luce solare, si vede chiaramente un mare di stelle dorate che inondano la facciata. Ma il vero spettacolo è il suo contenuto.
La musica di “Blackstar”
Anticipato dal singolo omonimo, “Blackstar”, è chiaro il profondo cambiamento in atto. Un’epopea di oltre 10 minuti dove si mischiano l’edm, il jazz, il rock. Insieme a “Lazarus”, un esplicito rimando ad una morte imminente e alla rinascita, costituisce il nucleo del concept, che secondo i puristi è meno rappresentato da altri brani come “Sue (Or in a Season of Crime)” e “‘Tis a Pity She Was a Whore“, già pubblicati nel 2014.
“Dollar Days” annuncia la chiusura: un pezzo d’addio con armonie malinconiche dove un Bowie stremato confessa: “I’m dying too”. Importanti per comprendere l’opera anche i videoclip che accompagnano i due singoli, ricchi di simbolismi ed esoterismo, nei quali viene introdotto l’ultimo alterego di Bowie, quello di Button-eye. Il disco nato postumo, l’opera forse più audace di Bowie è stata un record di vendite in tutto il mondo, conquistando 4 Grammy Awards dopo la morte del suo autore.
Contemporaneamente al disco, Bowie creò il musical teatrale “Lazarus“, di cui fece appena in tempo ad assistere alla prima. In questi giorni, dall’8 al 10 gennaio, sarà trasmesso in streaming per celebrare la vita e l’opera dell’uomo che con la sua musica ha sconfitto la morte e dato un nuovo significato all’arte: non arrendersi mai.
Simone Zangarelli
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