Troisi come Totò, Eduardo o Peppino; ma con l’aria dimessa, umile, con mimica e voce di un menestrello di vicoli napoletani. Lui che non aveva mai conosciuto i De Filippo, rammaricandosene: “Sono come ‘o sillabario. Quando io l’immagino, l’immagino puri, cioè una comicità allo stato puro“. Eduardo si è affinato più nel classico, Totò nel surreale, Peppino nella normalità, ed era il massimo. Candido, dall’innocenza commovente, Massimo Troisi, senza saperlo, ha avuto l”intento di replicare il trio. Bello e fuori moda, come un personaggio atavico, o della Commedia dell’Arte. Come un giullare buono, o venuto fuori da un girone dantesco, resterà sempre l’uomo di “Annunciazione! Annunciazione! Tu Marì..”. E la sappiamo tutti. E il devoto che chiede la grazia San Gennaro; un ambo al lotto e passa la paura.
“Ero ‘nu guaglione”, quando ho cominciato a fare l’attore. Era andato a vedere “Roma città aperta” di Rossellini, ne era uscito estasiato, con tutte l’emozioni dentro. Dopo aver girato l’Italia con il cabaret negli anni ’70 e ’80, La Smorfia, indimenticabile vicino a Lello Arena e Enzo De Caro, al secolo i Saraceni, tutti i produttori provavano a convincerlo a fare cinema. Ma forse, solo per sfruttare i suoi successi teatrali. Ma Troisi, comunque e sempre ‘capa tosta‘, voleva creare dei film da regista, e a modo suo. Dando vita, inconsapevolmente eterna, a personaggi che rappresentano sempre lui stesso: vergognosi, imbranati, senza la risposta pronta. All’opposto dei napoletani. E con questo poco, ha conquistato tutti.
‘O cinema di Troisi
“Non le ho detto niente. La guardavo e m’innamoravo.” E’ una frase de “Il Postino“. Ricorda, un po’, quello che succede vedendo il cinema di Troisi. Un attore, una marionetta, con l’espressività rassegnata, ora dolorosa, e la gestualità incerta. Ma i suoi film hanno tenerezza e comicità. Balbetta, stona quando canta, viene da domandarsi se è veramente così nella realtà. Nessuno tarderebbe a rispondere si.
Massimo Troisi, parlava con gli occhi. E’ nella mente di ognuno, la scena in cui, per la prima volta, ascolta la registrazione del brano “Quando“, del suo amico fraterno Pino Daniele. Sarebbe stata la colonna sonora del film “Pensavo fosse amore invece era un calesse“, del 1991. Se esiste un momento da fermare nel tempo è quello. La riconoscerà al primo ascolto: è sua, è per il suo film. Le note riuscirà a ricantarle fin da subito. E pronuncerà con le sue sfumature dialettali, “Chissa è bella“. Questo è Troisi.
Troisi, carta e inchiostro per Savonarola..
Oggi, è un po’ come nel 1500. Se vuoi conoscere qualcuno devi fare come dice Vitellozzo: in chiesa le donne guardale fisse. Era “Non ci resta che piangere“, congiunzione astrale tra un malinconico e stralunato napoletano, e l’esuberante incontenibile toscano. Roberto Benigni, per la prima ed unica volta, in un film con Troisi. Da Frittole, immaginario borgo del lucchese, paggetto medioevale in tulle e calzamaglia, con timidezza sincera, canta “Yesterday” dei Beatles. In un assolo senza musica, Massimo Troisi come Paul McCartney, il Vomero contro Liverpool; O’ surdate nnammurato a duello con Lady bee.
“Il massimo della solitudine: la macchinetta del caffè per una sola persona!”. Dal film “Scusate il ritardo“, Massimo ci insegna che, disporre in casa di una sola moka da una tazza, significa avere un problema relazionale a Napoli! In equilibrio tra il romanticismo e l’umorismo, si risentirà ovunque il balbettio della sua voce, in ogni frase, in ogni battuta dei suoi film. Resta negli annali, negli archivi, riecheggia nelle teche del cinema tra le bobine e le pellicole.
Quell’ultimo calesse…
“La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve!”. Da “Il Postino” in poi, ne faremo tutti insegnamento. Quel film, fu come un lascito, visto dopo la sua morte, avvenuta nel sonno, di notte, a poche ore dalla fine delle riprese. E non c’è bisogno di aggiungere altro. Proprio come nella poesia, che ‘quando la spieghi diventa banale‘. Un giorno, gli occhi di Troisi, si fermarono davanti la soave frase di una lettera di Petrarca. “Questa mi piace“, disse al compagno di scorribande, bischero e serio poeta come lui, Benigni. Divenne il titolo del loro film. Fugaci e lente parole, che si credevano dimenticate. Ma pesanti ed eterne come pietre. “Non tutto in terra è stato sepolto: vive l’amor, vive il dolore; ci è negato veder il volto regale, perciò non ci resta che piangere e ricordare“.
Federica De Candia per MMI e Metropolitan Cinema Seguteci!