“Non chiedo il vaccino” – e già qui, i primi dubbi – “però questa cosa che i giornalisti siano nella lista delle categorie non utili a detta degli stessi giornalisti mi dispiace: in questo anno di paura siamo stati noi a raccontare alla gente cosa succedeva, a denunciare, siamo stati non utili. Necessari. Il commento si trova su Twitter e arriva, non a caso, dal profilo di una giornalista, la Lucarelli, che, unendosi al coro di altre categorie di professionisti come avvocati, magistrati, notai, nonché gli stessi giornalisti, sembra abbia storto un po’ il naso all’idea di non essere inclusa tra le persone aventi diritto di “priorità” perché – dice – in realtà lei è stata necessaria. Proprio per questo, ha inoltre aggiunto: “E’ già una categoria [quella del giornalismo] che gode di poca (pochissima) stima e spesso a ragione, però forse bisognerebbe ricordare ogni tanto l’utilità di questo mestiere”.

Un discorso, il suo, da più di 300 like che nessuno avrebbe avuto l’intenzione – e la voglia – di contestare, se non fosse che si incastra perfettamente in un momento in cui la lentezza di un piano vaccinale chiaro e preciso, da parte del governo, ha prodotto già non pochi danni: con il ben volere del cosiddetto ‘fai da te’, alcune Regioni hanno infatti, con ampia discrezionalità, scelto di immunizzare persone non propriamente in ‘prima fila’. Quantomeno rispetto agli over 80, al personale sanitario, quello della scuola, ai militari e alle Forze dell’Ordine rimasti, invece, in molti casi esclusi. Al punto che Draghi sembra aver invertito rotta, dichiarando stop alle regole diverse da regione a regione. Da adesso in poi, ci sarà un unico e preciso criterio per tutti: quello della fascia d’età, con la sola correzione degli “estremamente fragili”, coloro cioè che soffrono di una forma grave delle 14 patologie presenti nel protocollo, insieme ai disabili riconosciuti dalla 104: uniche categorie in fila accanto agli over 70, cui verrà somministrato il vaccino Pfizer o Moderna nei vari centri ospedalieri.

“Non tutto è una gara”

Bene. Anche se un po’ tardi. Perché la domanda ormai sorge spontanea: in un Paese in cui gli unici progressi che si intravedono, da inizio pandemia ad oggi, riguardano la maturità di cui può certamente vantarsi il lockdown – che proprio ieri ha compiuto 1 anno – e in cui, a fronte dei contagi in crescita, c’è chi di sofferenza potrebbe scrivere un libro – non solo per aver contratto il virus, ma per tutte le conseguenze che quel virus ha determinato nella vita di ognuno – è possibile assistere a rivendicazioni da parte di chi – diciamolo – privilegiato già lo è, e fa i capricci per non esserlo fino in fondo? Perché, sia chiaro, nessuno vuole delegittimare il ruolo dei giornalisti. Sarebbe paradossale. Anzi, applauso a chi si è prodigato per riferire ogni giorno notizie utili alla popolazione, seppur nel mare di fakenews che devastano quest’era della post-verità. E un inchino dinanzi a chi, in particolare, ha denunciato – come piace sottolineare a Selvaggia – ma esattamente questo merito in quale delle categorie degli “estremamente vulnerabili” li collocherebbe? No perché se fare informazione – quindi il proprio mestiere – ha provocato problemi cardiovascolari o patologie oncologiche, alziamo le mani. Diversamente, non si vede la differenza rispetto a tutti quei professionisti che, sfruttando la poca chiarezza del governo nel definire il concetto di “personale non sanitario”, è riuscito a farsi accettare la richiesta di vaccinazione.

Tra l’altro, la ‘poca solidarietà’ è emersa da un po’: perché non si finisce mai di andare contro chi sembra ci voglia ‘superare’. E quindi un po’ verso tutti. Il senso di competizione che pervade l’essere umano lo spinge a vivere ogni esperienza come se fosse una gara: al punto che – con ogni probabilità – nelle lunghe file d’attesa, prima di entrare al supermercato, in molti avranno pensato a come superare chi gli stava davanti. E questo fa perdere anche quel briciolo di umanità e rispetto che si sperava di poter guadagnare nel post-Covid. Almeno verso tutte quelle categorie che, realmente, hanno bisogno di sentirsi privilegiate, e dunque avere la priorità. Non di certo perché dal divano/poltrona di casa abbiano dato notizia di quanto accadesse nel mondo.

Cerchiamo di dare il merito alle professioni per quello che davvero valgono, dunque. E soprattutto facciamolo nel giusto momento, perché se la volontà della Lucarelli era quella di dare un maggiore riconoscimento al giornalismo in quanto professione, che ben venga. Tutti d’accordo. Solo posticipiamolo a dopo l’emergenza sanitaria. Perché ora ciò che dovrebbe interessare maggiormente è la rapidità con la quale si inizierà a vaccinare. Per uscire per sempre da questo incubo.

Francesca Perrotta