È appena calato, finalmente, il sipario sull’ultimo atto di un dramma trasformato in farsa. Protagonista inconsapevole e, insieme, vittima è la piccola Denise Pipitone, scomparsa sedici anni fa e il cui destino non è ancora dato sapere quale sia. Carnefici, invece, giornalisti e conduttori senza scrupoli, votati allo share e al sensazionalismo, sui cui altari sacrificano l’innocenza e la triste sorte di una bambina e della sua famiglia.

La vicenda della scomparsa è ormai arcinota. Nell’ultima settima è balzata di nuovo agli onori delle cronache dopo una segnalazione giunta alla redazione di “Chi l’ha visto” da parte di un’infermiera di origini russe residente in Italia, che guardando un programma in onda sul primo canale russo ha notato una somiglianza, a suo dire, strabiliante tra una ragazza russa e Piera Maggio, mamma di Denise. La giovane, Olesya Rostov, diventa il centro di una affannosa rincorsa allo scoop a tutti i costi, sia da parte italiana che da parte russa. Oggi alla fine dello spettacolo è uscita la verità: Denise e Olesya non sono la stessa persona. Ma cosa è successo davvero in questi giorni?

Il potere della suggestione

Federica Sciarelli, dopo il lancio di uno spot dall’indubitabile potenziale attrattivo, apre la puntata di “Chi l’ha visto” dello scorso mercoledì (31 marzo 2021, ndr) annunciando con simulata ingenuità che non si sarebbe mai aspettata che un semplice spot promozionale della puntata avrebbe suscitato un simile clamore. Ora, si fa fatica a credere che una redazione esperta come quella di “Chi l’ha visto” non sia in grado di valutare l’impatto sul pubblico di una pubblicità in cui si annunciano sviluppi clamorosi su un rapimento rimasto irrisolto per più di sedici anni. Verrebbe da pensare, neanche con troppa malizia, che l’intento di quello spot sia stato proprio quello di lanciare l’amo in attesa che il pubblico abboccasse. Ma soprassediamo e andiamo avanti. Il resto del blocco dedicato alla pseudo-Denise è stato un continuo calcare la mano su suggestioni derivanti dall’accostamento dell’immagine con quella di Piera, di Denise, di Piero Polizzi, delle sorellastre di Denise. Naturalmente, come nella migliore delle tradizioni mistificatorie, di volta in volta è stata presa come confronto l’immagine con l’angolazione da cui Olesya era più somigliante all’uno o all’altro dei familiari con cui veniva comparata. In un crescendum, in cui si sono susseguiti riferimenti a piste mai seguite e velati accenni intrisi di pregiudizio sulla tendenza dei rom a rubare bambini, l’apice è stato toccato quando la voce della giovane russa è stata messa a confronto con quella della piccola Denise. Passino gli accostamenti discrezionali, ma con quale criterio logico si pretende di comparare la voce di una bambina con quella di un’adulta, che, oltretutto parla una lingua diversa e prosodicamente agli antipodi dell’italiano? L’unico criterio ammissibile è quello della facile suggestionabilità, appunto.

Tra share e (mancata) sensibilità

Ma la farsa continua. E coinvolge altri presentatori, tra cui Barbara d’Urso che con il suo solito fare intercetta in giro aggiornamenti SHOCK; coinvolge il legale della famiglia Maggio, Giacomo Frazzitta, conteso tra tv italiana e tv russa; coinvolge giornalisti nostrani e russi. Non c’è bisogno di dirlo: ognuno di questi attori poco ha a cuore la protezione della famiglia addolorata e della piccola Denise. Tra test del Dna a favor di telecamera, tour in giro per la Russia a cercare la vera famiglia di Olesya, il sospetto sempre più pressante che la ragazza sia in realtà un’attrice e indignazione ipocrita di giornalisti italiani che aborriscono il comportamento dei colleghi russi, ma di loro si servono per montare le proprie notizie a cadere vittima di questa rete famelica è ancora una volta una bambina strappata alla sua famiglia quando aveva solo 3 anni: Denise.

Quello stesso studio, in cui era stata annunciata alla madre di Sarah Scazzi la morte della figlia in diretta, diventa il palcoscenico di un altro dramma nel dramma: il dolore che diventa un bene di consumo voracemente e insaziabilmente ingurgitato da un pubblico che si nutre dei drammi altrui per appagare il proprio voyerismo perverso. In questo dramma-farsa, direbbe Totò: “C’è tanta gente che si diverte a far piangere l’umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirla”.

Giulia Moretti