Tornano a salire in Irlanda del Nord le fiammate, metaforiche e non, delle tensioni sullo sfondo d’un dopo Brexit che minaccia di far materializzare i fantasmi più temuti del passato. Per ora sono episodi circoscritti, ma il fuoco che da sempre cova sotto la cenere non richiede chissà quali inneschi per poter dilagare e il clima dell’ultima settimana spaventa ormai quasi tutti nei palazzi del potere.

Dopo varie nottate di scontri e violenze sparpagliatesi da Derry ad altre località simbolo di quella che fu la sanguinosa stagione dei Troubles prima della storica pace del Venerdì Santo 1998, ieri sera l’ultimo tumulto è scoppiato a Belfast. A partire dai quartieri a maggioranza protestante e con corredo di cariche di polizia, aggressioni a giornalisti, assalto a un bus urbano incendiato. Uno scenario da avvisaglie di guerriglia urbana che da quelle parti sarebbe avventato sottovalutare. E che ha indotto i leader politici delle fazioni rivali a convocare una riunione d’emergenza del governo locale per provare finalmente a contribuire ad abbassare i toni.

A fare da avanguardia ai disordini di ieri sono stati alcuni gruppi di unionisti ultrà: infuriati per la recente decisione della polizia locale (Psni) di non procedere penalmente contro violazione della restrizioni anti Covid perpetrata il mese scorso da centinaia di reduci e dirigenti repubblicani (Michelle O’Neill inclusa) in occasione del funerale d’uno storico ex esponente di spicco del braccio politico.

Sullo sfondo, oltre al caso del funerale, restano però a far da detonatore potenziale le conseguenze della Brexit: in particolare i rancori del fronte unionista verso l’accordo ad hoc firmato dal governo Johnson con Bruxelles per garantire il mantenimento del confine aperto fra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, previsto dalle intese del Venerdì Santo.

Giulia Di Maio