Ermal Meta: occhi profondi, trasparenti, sguardo affascinante, sorriso luminoso e ammaliante. Una scura chioma che ormai è il suo marchio di fabbrica, piena di riccioli che incorniciano un viso angelico. Parla 4 lingue più il dialetto barese, ed il suo nome in albanese significa Vento Di Montagna. Il 20 aprile 2021, il cantautore più amato dal pubblico ha compiuto i suoi primi 40 anni.
Attraverso la sua voce e la sua musica scava nel nostro presente, nel nostro passato. Nei suoi testi si può leggere un meraviglioso mondo a cui ha dato forma con le sue parole. Il suo stile ricorda molto il buon vecchio cantautorato di una volta. E’ caratterizzato da un sound con una propria grande identità, impossibile non riconoscerlo. Ma vediamo nello specifico quale storia si cela dietro quello sguardo sincero, ridente e trasparente, che porta il peso di un passato difficile, ma dal quale ne è uscito più forte di prima.
Ermal Meta, libero come un Vento Di Montagna
Ermal Meta nasce a Fier, in Albania il 20 aprile 1981; figlio d’arte, la madre è una violinista professionista, è accompagnato dalla passione per la musica sin dalla tenera età. Quando la maggior parte del tempo la passava al piano piuttosto che a fare altro. Sin da quando era un ragazzino Ermal è sempe stato uno spirito libero, un’anima ribelle. Cosa che lo ha portato poi ad interrompere successivamente gli studi delle discipline musicali in Albania e a continuare da autodidatta.
Interruppe gli studi perchè si considera da sempre indisciplinato, e quindi non riusciva a conformarsi alla rigidità dei metodi di insegnamento attuati in quel periodo. Con sua madre, sua sorella e suo fratello minore giungono sulle coste baresi nel 1994, accompagnati da un traghetto; il quale ha trasportato le loro anime verso la salvezza. Verso la rinascita dagli abusi di un padre assente da lui definito violento. E dalle ceneri di un paese che era purtroppo vessato dai soprusi di una delle dittature più feroci della storia. vediamo cosa accadde.
Ermal Meta e l’Albania ai tempi del comunismo di Enver Hoxha
In Albania, nel periodo della seconda guerra mondiale fascismo e nazismo cessarono di esistere a favore del primo governo democratico proclamato il 28 novembre 1944. A capo di questo nuovo governo c’era il Partito Comunista, il cui leader era Enver Hoxha. Egli portava avanti la sua ideologia prettamente staliniana. Hoxha seguì fin da subito il modello politico sovietico. Una volta salito al potere attuò delle riforme che avevano l’obiettivo di costituire un sistema sociale di tipo stalinista.
Abolì la proprietà privata, nazionalizzò le industrie, effettuò la riforma agraria e si occupò dell’istruzione e della sanità. Tutto questo per fare in modo che l’Albania si avviasse ad essere una nazione socialista indipendente che fosse in grado di produrre a sufficienza le proprie risorse, in modo da ridurre al minimo le importazioni delle materie prime. Parallelamente diede inizio anche ad un meccanismo di repressione forzata che tolse ogni libertà di espressione e di pensiero alle persone.
Una feroce dittatura mascherata da socialismo
Enver Hoxha vietò il culto religioso, di qualsiasi forma o credo. In una recente intervista Ermal Meta, racconta di come non fosse particolarmente legato alle feste religiose, questo perchè in Albania, ma in generale nei regimi comunisti la religione era vietata, e le festività liturgiche come Natale, Capodanno e Pasqua li erano soppresse, e le ha conosciute in secondo momento in Italia.
Professare una religione, possedere libri o oggetti religiosi, persino chiamare i propri figli con un nome religioso era reato pena la reclusione fino a 10 anni. Hoxha confiscò tutti i luoghi di culto che trasformò in musei, uffici statali o li fece abbattere. Dopo aver lottato per anni contro la religione, battaglia che costò la libertà e la vita a molte persone, dichiarò che l’Albania era l’ unico paese completamente ateo con una visione scientifico-materialista del mondo. Tutti dovevano appoggiare il regime.
Le condizioni del popolo durante la dittatura
Il popolo viveva in condizioni spaventose, era povero, malnutrito, spaventato e non poteva esprimere i propri pensieri in nessun modo. Il cibo era razionato. Per quanto riguarda la politica tutti erano iscritti al partito, e ne dovevano elogiare le gesta. A scuola gli insegnanti propagavano false verità, dicendo ai bambini quanto fossero fortunati a vivere in un paese ricco e forte come l’Albania.
Arte, musica, letteratura, spettacolo erano discipline controllate e pilotate dal regime. Tutte le forme di comunicazione erano manipolate, per propagare solo quello che il regime volesse far sapere, diffondendo l’immagine di un paese ricco, forte, e prosperoso, cosa che in realtà non era, mettendo anche in cattiva luce l’occidente.
Ermal Meta, storia dell’Albania, L’occidente, il nemico numero
Hoxha infatti era ossessionato dall’occidente che considerava il nemico numero uno. Proprio per questa sua ossesione, durante quegli anni si poteva guardare solo ed esclusivamente la televisione di stato che trasmetteva programmi di propaganda politica e sociale a favore del regime. I televisori dell’epoca erano costruiti con un pulsante solo. Tuttavia ben presto il popolo scoprì che girando l’antenna in un determinato modo, poteva prendere le emittenti televisive italiane. È per questo che molti albanesi parlano italiano.
Lo hanno imparato guardando programmi come Sanremo, Domenica in, i quiz di Mike Bongiorno ecc… Girare l’antenna verso l’Italia era un’operazione assolutamente vietata. Una cosa del genere, se scoperta dalla polizia o dal partito, poteva condurre un’intera famiglia in prigione o nei campi di lavoro. Tuttavia non sempre le emittenti italiane arrivavano in tutte le zone. Infatti Ermal racconta che nel luogo in cui ha vissuto da ragazzino, non sempre i canali televisivi ed anche i cartoni animati erano disponibili, i cartoni in particolare li trasmettevano soltanto la domenica, ma nemmeno tutte le settimane, e quindi ascoltava delle favole alla radio narrate da una voce che ancora oggi gli è rimasta impressa. Per imparare l’italiano invece, poichè dove viveva lui le emittenti estere non arrivavano, si procurava dei libri che leggeva, studiava e traduceva piano piano.
“Rieducare” il popolo con la prigionia
Il numero di persone che furono imprigionate durante la dittatura di Hoxha è incommensurabile. Lo scopo ufficiale della detenzione era la “rieducazione e la riabilitazione” attraverso la sofferenza e il lavoro. I detenuti erano classificati in prigionieri politici e prigionieri ordinari; essi scontavano la pena eseguendo lavori forzati, in condizioni disumane. Moltissime furono le morti per maltrattamento, tortura, denutrizione e malattia.
Coloro che non potevano essere imprigionati per mancanza di prove, ma erano sospettati di essere una minaccia per lo stato, venivano internati. Il che significava che chiunque fosse accusato di scappatoia, di agitazione e propaganda, sarebbe stato punito con la rimozione della propria casa e veniva trasferito in un centro di internamento. I centri di internamento erano veri e propri villaggi da cui gli internati non potevano andarsene, e ogni giorno dovevano presentarsi presso la polizia per firmare un registro con cui dichiaravano la loro presenza.
Il Sigurimi e la perdita di ogni diritto umano
Il Sigurimi, era l’organismo preposto alla difesa del potere e del comunismo. Si trattava di una sorta di Intelligence che si occupava di attaccare gli avversari politici e di scovare i nemici del potere. Arresti, torture disumane e atroci uccisioni avvenivano nel nome di crimini contro lo stato. Essi venivano giudicati da un tribunale interno, che agiva senza alcun controllo. Protezione delle autorità, protezione dell’economia, controspionaggio, sicurezza militare, investigazione e reclutamento erano le aree di azione del Sigurimi.
Esso era formato principalmente da volontari e da funzionari reclutati con la forza e le minacce alle famiglie. Quando, negli anni ’80 l’isolamento dell’Albania divenne totale, il Sigurimi si occupò anche di controllare e osservare tutto e tutti. L’obiettivo era di bloccare sul nascere tutte le azioni ritenute anche solo lontanamente di propaganda contro il regime.
Nessun luogo era più sicuro
Il Sigurimi era onnipresente. Questo terrificante meccanismo di controllo e di intercettazione si avvaleva di Microspie, microfoni e fotocamere nascoste piazzate dappertutto per controllare e intercettare chiunque. Qualsiasi luogo era sotto controllo, anche la casa del vicino non era più un posto sicuro. Tutti controllavano tutti; ogni straniero che entrava nel paese era considerato un sospettato.
Di conseguenza veniva sottoposto a controllo e misure di sorveglianza da parte del Sigurimi per tutta la durata della sua permanenza in Albania. I turisti dovevano seguire delle regole rigidissime che prevedevano il taglio di capelli e basette e uno stile di abbigliamento conforme all’estetica socialista. Difatti presso le frontiere vi era un barbiere e un negozio di abbigliamento.
L’isolamento come strumento per conservare gli ideali
La politica estera attuata da Enver Hoxha, negli anni portò il paese all’isolamento più estremo. Le sue scelte politiche diventavano sempre più restrittive fino ad arrivare al totale isolamento dell’Albania dal resto del mondo. L’iniziale amicizia con la Jugoslavia di Tito cessò lasciando spazio ad un forte legame con l’Unione sovietica. Questo legame durò fino quando anche la Russia iniziò ad abbandonare il modello stalinista attuando scelte politiche e sociali diverse.
La Cina di Mao Tse-tung invece divenne il nuovo e unico stato ancora amico dell’Albania. Questo perchè erano due nazioni vicine negli ideali e negli obiettivi. L’Albania aveva bisogno di un alleato potente, mentre alla Cina serviva un appoggio per contrapporsi alla Russia. Tuttavia anche se i cinesi erano i grandi amici degli albanesi, il mondo intorno stava cambiando e la morte di Mao, portò anche alla rottura dei rapporti tra i due paesi.
Albania, paese dei bunker
Il continuo fermento politico e militare dell’Europa tormentava Hoxha. La sua ossessione raggiunse livelli talmente assurdi che a partire dagli anni ’50, iniziò la bunkerizzazione del territorio. Fece costruire migliaia e migliaia di bunker antiatomici, se ne contano circa 35000. Essi facevano parte di una politica del terrore. Con questo stato di terrore, Hoxha trasmise al popolo la convinzione di vivere accerchiati con la possibilità di un costante imminente attacco straniero.
Questa perdita economica privava al paese di investire in cose più importanti come le strade, le infrastrutture e le abitazioni. A seconda dell’utilizzo venivano costruiti bunker di dimensioni e con una struttura differente. Ermal racconta in un’intervista che anche lui ha vissuto dentro un bunker 3 metri sotto terra, e l’unico modo che aveva per evadere da quella condizione era ascoltare la musica, in particolare quella di Michael Jackson che gli veniva praticamente portata di soppiatto perchè era assolutamente vietato ascoltare musica proveniente dall’occidente. Erano delle sonorità che lo estasiavano, qualcosa di ultraterreno mai sentito prima alle orecchie di un ragazzino che non poteva ascoltare nulla che non fosse musica di regime.
La morte di Hoxa e la fine del comunismo
Enver Hoxha morì nel 1985. Con la sua assenza il sistema che aveva creato iniziò ad apparire per quello che era, una follia che aveva portato il paese ad una situazione disperata. Ci vollero alcuni anni di transizione e grandi rivolte come quella del movimento studentesco del 1990 prima che si andò a delle nuove regolari elezioni che posero fine a 47 anni di potere comunista.
Tuttavia nel 92 stava iniziando l’ennesimo difficile periodo politico, economico e sociale per l’Albania. Fu allora che una volta riaperti i confini, gli albanesi iniziarono a lasciare la loro madre terra. Durante gli anni di forzato isolamento avevano trovato nell’Italia, la loro vicina di casa una luce in fondo al tunnel. Fu così che iniziarono gli anni delle grandi migrazioni.
Ermal Meta, gli anni delle grandi migrazioni
L’episodio più significativo dell’ondata di immigrazione che si ebbe in Italia dal 1990 al 1992 è quello dell’ arrivo a Bari della Vlora. Esso rimane ancora oggi il più grande sbarco di migranti mai giunto in Italia con un’unica nave, con a bordo intorno alle 20000 persone. La nave attraccò al porto di Bari l’8 agosto 1991, con il suo copioso carico estremo; tuttavia non tutti superarono il viaggio.
La gestione di un flusso così cospicuo e inaspettato di migranti ovviamente colse impreparate le istituzioni italiane, che si trovarono prive di strutture e procedure adeguate ad ad affrontare un’emergenza di tale portata. Ad ogni modo i profughi furono sistemati nello Stadio della Vittoria e al porto di Bari. I baresi infatti li accolsero e cercarono in tutti i modi di dare loro una mano. Queste sono le parole espresse dal presidente albanese Ilir Meta nel giorno dell’anniversario dello sbarco:
«L’8 agosto 1991, la nave ‘Vlora’, con a bordo circa 20 mila albanesi, iniziò il suo viaggio verso la libertà, diventando un simbolo di speranza per una nuova vita e un futuro migliore. Lo sbarco sulle coste italiane ha dimostrato al mondo intero la tragedia e il dolore di un popolo che da decenni soffre per la violenza, l’oppressione, la miseria e l’isolamento. purtroppo anche oggi, dopo 29 anni da questo evento e da queste immagini sconvolgenti che emozionano sempre, il ritmo drammatico dello spopolamento dell’Albania non si è fermato. In nome di questi straordinari sacrifici umani, è tempo di riporre la speranza nel nostro paese e realizzare il sogno di ogni cittadino per un’Albania come il resto dell’Europa».
La Rai ha dedicato puntata di “Di là dal fiume e tra gli alberi” per ricordare questo particolare episodio che ci riporta a quello straordinario Esodo.
Ermal Meta, una fenice rinata dalle ceneri della propria terra
E cosi che il 16 giugno 2020 Ermal ci racconta del suo arrivo in Italia, con queste toccanti parole che esprimono tutta la dolcezza e la sensibilità di cui è dotato:
“Oggi compio 26 anni. Ero già vivo quando nacqui, avevo 13 anni e il 16 giugno del 1994 persi la vita che avevo per viverne un’altra. Attraversai il mare e misi i piedi su una terra straniera. Italia la chiamavano, si chiama ancora così. Non ne sapevo nulla, ma lentamente ho iniziato a guardarla e poi a vederla. Poi mi sono lasciato guardare a mia volta.
Non fu amore a prima vista, ma qualcosa da costruire con fatica, pazienza, lotta e infine pace. Adesso siamo totalmente in simbiosi anche se ogni tanto mi fa perdere le staffe. Succede quando vedo alcuni che non hanno dovuto fare fatica per farsi amare da lei, trattarla come se ci fosse un posto più bello o migliore in cui vivere, quando l’arroganza viene chiamata forza, quando ci dimentichiamo che non saremo qui per sempre mentre lei si. Ci vedrà passare e lasciare tracce più o meno profonde. Lei non si arrabbia, sorride e a guardare bene, ogni tanto, in quel sorriso c’è dell’amarezza.
Quando sbaglio le dico “dai sono giovane, ho solo 26 anni”, sperando di cavarmela, ma lei lo sa che ho barato, glielo ha detto la mia terra d’origine che si trova di fronte. Quella terra era una madre troppo povera e troppo disperata per occuparsi di tutti i suoi figli, così alcuni di loro li mandò da sua sorella, di fronte. Sotto il mare le loro mani sono avvinghiate dalla notte dei tempi come quelle di giganti sdraiati e noi piccoli uomini crediamo di appartenere a mondi diversi solo perché non vediamo con gli occhi questo legame.
Non ci accorgiamo che parliamo la stessa lingua quando amiamo, quando gioiamo, anche quando ci incazziamo, quando ridiamo, quando ci abbracciamo, e che parliamo lingue diverse solo quando parliamo. Sorrido quando penso a quel giorno, ricordo che tremavo costantemente, come se facesse freddo. Avevo la sensazione di andare lontanissimo. Se potessi incontrare quel bambino per pochi secondi gli direi: “ehi, non ti preoccupare, stai solo andando a casa di tua zia che ti tratterà come un figlio.” [Ermal Meta]
Ermal Meta racconta…
In questa intervista di seguito riportata Ermal ci racconta brevemente un po’ di storia dell’ Albania, e di come l’ha vissuta attraverso i suoi occhi; non mancano anche alcuni dei suoi simpaticissimi aneddoti che speso racconta. Vale la pena spendere qualche minuto per ascoltare le sue parole:
In una recente intervista ha ulteriormente dichiarato rispetto alla rivoluzione in Albania ed al concetto di tolleranza uanto segue: “Avevo 12 anni, il cielo era plumbeo, era davvero un cattivo presagio. Le rivoluzioni nascono sempre da un’esigenza, dalla mancanza di qualcosa. Quel giorno rimasero a terra 13 persone. Ma in quei momenti c’era la volontà di cambiare; la gente era stanca, stufa, perché non c’era più niente da perdere. La differenza è che quando la gente non ha qualcosa da perdere non muove il culo. Per questo chi parla di rivoluzione mi fa ridere, io l’ho vissuta, so com’è”. Parlando della tolleranza invece Ho sempre avuto un grosso problema con questa parola, la odio, significa accettare malvolentieri, sopportare… è una coperta di qualcosa che non si vuole guardare. Dentro la parola tolleranza c’è già un pregiudizio, sarebbe bello sostituirla con parole come cultura e conoscenza.
Il Destino Universale
E torniamo al destino universale: il destino universale vuole insegnare la normalità, noi siamo persone che condividono lo stesso tempo”. E proprio con Il Destino Universale Ermal racconta se stesso. Con le parole “Ermal ha 13 anni e non vuole morire, della vita non sa niente, sa solo che è importante” egli racconta di come quando era soltanto un ragazzino prende consapevolezza di quanto la vita sia importante.
In un’intervista spiega che in Albania, con il crollo del regime gli assetti del paese cambiarono drasticamente, e si iniziarono a vedere sempre più spesso cadaveri per strada; anche lui purtroppo se ne trovò uno davanti agli occhi un giorno in cui si stava recando a scuola. E fu allora che Ermal capì quanto la vita fosse importante, quando davanti a se assistette all’irreparabile, è capì che la vita era troppo preziosa, e doveva salvarsi, e per un ragazzino così piccolo questa è una consapevolezza fondamentale.
Ermal Meta, le sue parole sulla dittatura in Albania
A partire dalla sua esperienza in Albania, Ermal Meta ha maturato diverse consapevolezze e convinzioni che tutt’ora porta avanti con fierezza. Per esempio, a differenza di alcuni dei suoi colleghi più apertamente ‘schierati’, Ermal afferma di non sentirsi affatto schierato, ma ha una visione politica che è solo sua e che rifiuta di incasellare. Più nello specifico, riguardo alla dittatura, Meta racconta: “Quando la vivi non la percepisci, non la senti”.
“La dittatura la vedi quando riesci a guardare fuori dalla finestra e vedi che c’è qualcosa di diverso, finché sei dentro non ci fai caso. In quegli anni i confini erano completamente blindati e anche la tv italiana era vietata, eppure il segnale arrivava, siamo distanti solo 70 chilometri di mare. Chi si ribellava alla dittatura veniva immediatamente messo a tacere. A mio zio è andata bene: faceva il pittore, è stato arrestato decine di volte con l’accusa di deridere i capi del regime all’interno dei suoi quadri. Loro ci vedevano qualcosa di strano; è un miracolo che non l’abbiamo ammazzato, lo saccagnavano di botte e poi per fortuna usciva”.
Ermal Meta, la carriera musicale tra Italia ed Albania
Ormai stabilitosi in Italia Ermal non ha mai smasso di coltivare la sua passione per la musica, ed a 16 anni inizia a suonare dal vivo. La sua prima band fu quella degli Shiva. Successivamente conosce casualmente il cantante degli Ameba, Fabio Properzi. Il gruppo, che inizialmente suonava soltanto cover, cambia nome in Ameba 4, ed Ermal Meta entra come chitarrista. Nel 2006 si sciolgono.
Nel 2007 quindi Ermal Meta decide di fondare La fame di Camilla. Con questo pubblica nel 2009 il disco omonimo “La fame di Camilla”. Tutto accade per caso. Questo perchè oltre alla musica Ermal Meta nella vita studia da interprete. Gli manca un esame alla laurea, ma poco prima di laurearsi arriva l’opportunità che gli fa cambiare idea per il suo futuro professionale. Nel tempo arricchirà il suo bagaglio professionale lavorando anche come autore e compositore.
Il talento per Ermal Meta
Molto bella e ispirante anche la sua definizione di talento:
“Che cos’è il talento? Credo che sia la presenza di una particella divina in tutti quelli che di talento ne possiedono uno. Non necessariamente un talento straordinario rende un uomo immune da errori, ma di sicuro gli regala un modo per redimersi da qualsiasi peccato possa aver commesso e in alcuni casi estende la sua vita oltre i limiti del tempo. Il talento se non viene esercitato è qualcosa che ti frustra, credo molto nella parola volontà. La costanza è l’attitudine che mi ha permesso di emergere: conta più la disciplina del talento”.
Ermal Meta a Sanremo da solista
Il 27 novembre del 2015 Ermal pubblica il singolo “Odio le favole“, con il quale partecipa a “Sanremo Giovani”. Poi viene scelto per prendere parte al “Festival di Sanremo” dell’anno successivo tra le Nuove Proposte. A Febbraio del 2016 pubblica “Umano“, il suo primo album in studio realizzato da solista. Nel 2017 Ermal Meta gareggia tra i ventidue concorrenti del Festival di Sanremo con il brano “Vietato morire“.
Torna a Sanremo nel 2018 tra i big cantando “Non mi avete fatto niente” in coppia con Fabrizio Moro con cui è nata anche una splendida amicizia. Il loro brano “Non mi avete fatto niente” vince il primo posto. Ermal Torna sul palco di Sanremo anche nel 2021 riguadagnando il terzo posto, ma il realtà è lui il vincitore morale, con la canzone “Un milione di cose da dirti“.
Il ritorno di Ermal in Albania
Il cantante albanese che ha vinto Sanremo in Italia ha fatto anche il suo grande ritorno in Albania. Inizialmente è stato ospite al Festival della canzone albanese. Successivamente è ritornato per la seconda volta in Albania a Tirana. Una volta li ha incontrato il sindaco Erion Veliaj, ed insieme hanno piantato una quercia contribuendo simbolicamente al ripopolamento della flora cittadina.
“Ci vorrebbero più persone come lui”, ha detto Ermal Meta parlando del sindaco di Tirana, Erion Veliaj, il super sindaco”, lo ha chiamato. Dopo l’incontro con il sindaco, Ermal si è esibito con un quartetto al Palazzo dei congressi, gli GnuQuartet. Si tratta di un quartetto d’archi e flauto La musica italiana è particolarmente apprezzata in Albania, terra dove la maggior parte della popolazione conosce la nostra lingua e apprezza la nostra cultura.
Interazioni tra culture ed identità
In Albania Ermal ha anche portato una realtà a cui gli albanesi pare non fossero molto abituati, cioè quella dei concerti con canti balli dove c’è un grande coinvolgimento del pubblico. Essi sono abituati alla musica popolare e tradizionale. Insomma c’è stato un bellissimo incontro tra due realtà, tra due culture diverse come si evince anche dai commenti che sono stati fatti sotto ai video dei concerti che il Meta ha tenuto a Tirana.
Occasioni come queste sono un veicolo promozionale importante per diffondere la reciprocità culturale tra i due paesi. Infatti egli è tornato, ha portato la sua musica nella sua terra natia. Ci è ritornato vincitore, rendendo la sua terra orgogliosa come sarebbe orgogliosa una madre per un figlio che ritorna da lei dopo aver realizzato i suoi sogni, e lo vede finalmente felice.
Ilaria Cipolletta