Yara Gambirasio scomparve il 26 novembre 2010, a 13 anni, dopo essersi recata in palestra per un allenamento di ginnastica a pochi metri da casa. Il suo corpo venne ritrovato tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, in un campo aperto a Chignolo d’Isola, distante circa 10km da Brembate di Sopra, il paese in cui la ragazza viveva. Il 16 giugno 2014 viene arrestato Massimo Bossetti, un muratore incensurato di 44 anni a cui gli inquirenti sono arrivati grazie alla prova del DNA: quello di Bossetti combaciava con quello di “Ignoto 1” trovato sugli indumenti intimi di Yara. Ad oggi Bossetti è l’unico indagato per l’omicidio di Yara Gambirasio.
Yara: Bossetti condannato all’ergastolo, i legali chiedono il riesame delle prove
Il 1° luglio 2016 la Corte d’Assise di Bergamo condanna l’uomo all’ergastolo. Quasi un anno dopo inizia il processo d’appello e la difesa porta come prova una foto satellitare e sostiene che il corpo sarebbe stato spostato e il DNA depositato sul corpo dopo molti giorni dal delitto. La procura nega il fatto e sia la Corte d’Appello di Brescia nel 2017, che la Corte di cassazione nel 2018, confermano la condanna all’ergastolo.
Poco più di un anno fa, la Corte d’Assise di Bergamo ha autorizzato la difesa di Bossetti a riesaminare i reperti tra cui gli indumenti di Yara e le tracce di DNA. I legali dell’uomo hanno chiesto la riesamina delle prove perché secondo i due, Salvagni e Camporino, il DNA rinvenuto apparterrebbe ad un altro soggetto e non ad “Ignoto 1“.
Il 13 gennaio la Corte di Cassazione stabilì che la difesa aveva diritto a una completa ricognizione e all’analisi dei reperti ma, qualche giorno fa, la prima sezione della Cassazione ha annullato anche il provvedimento del giudice dell’esecuzione che a suo tempo aveva respinto l’istanza con cui la difesa chiedeva di sapere come fossero conservati i campioni di DNA.
Intanto, Oggi (nella copia in edicola dal 29 maggio), ha riportato che il 19 maggio si è tenuta un’udienza a porte chiuse durante la quale il Procuratore Capo, Antonio Chiappani, e il PM, Letizia Ruggeri, hanno deciso di opporsi sia alla ricognizione di tutti gli indumenti che Yara indossava quella sera, che alla revisione dei reperti riconsegnati dal genetista Giorgio Casari, definendo tra l’altro, i 54 campioni di DNA come degli «scartini».