Dante Alighieri è probabilmente il più noto poeta e scrittore italiano. Tutti noi conosciamo e abbiamo studiato la sua Commedia. Un’opera significativa ed identificativa della storia e della lingua medievale, e dello schema di valori dell’epoca, tanto da essere denominata “Divina” da Giovanni Boccaccio. È con questo titolo che siamo abituati a leggerla oggi, Divina Commedia, con cui comparve per la prima volta nel 1555 nell’edizione veneziana di Ludovico Dolce.

Al momento dell’inizio del viaggio, Dante si trova all’incirca in quel “mezzo del cammin” che è simbolico della sua età, intorno al suo trentacinquesimo anno di vita. Per la scrittura della sua Commedia, Dante basa la struttura formale sulla simbologia dei numeri. Nel medioevo essi rappresentavano ordine e armonia ed erano di conseguenza un’estensione del disegno perfetto di Dio, un umano bisogno di tentare di riprodurre in modo imperfetto l’equilibrio del Creato. Si ripetono in particolare i numeri 1 e 3, simboleggianti il Divino, Uno e Trino. Abbiamo infatti 3 cantiche da 33 canti ciascuna, 1 canto introduttivo, 100 canti totali. Ma nella Commedia divina si presenta anche un’importante dualismo che riguarda strettamente l’uomo.

Dante, narratore e protagonista della Commedia

La forma di dualismo più facilmente individuabile è quella che vede Dante al tempo stesso narratore e protagonista della sua opera. È il Dante-personaggio quello che si ritrova per una selva oscura, ed è il Dante-autore colui che ci racconta del viaggio. Il primo è soggetto all’intreccio narrativo, protagonista della storia. Di sua competenza è il tempo presente del narrato, una vicenda che per il Dante-autore è già stata vissuta ed è passata. Il secondo è la mano che tiene la penna alla quale compete il tempo della narrazione, ovvero l’atto dello scrivere e del raccontare, del rievocare l’esperienza e tramandarla.

Il Dante-personaggio, o attore in quanto colui che compie l’azione, e il Dante-autore sono la stessa persona in due tempi di vita diversi. Hanno in comune l’identità, i valori umani, gli ideali, ma si differenziano per psicologia e morale. L’attore è osservatore, a lui il compito di apprendere, ed è incerto, dubbioso, incapace di procedere nel viaggio senza la guida dapprima di Virgilio e poi dell’amata Beatrice, dei quali incarna in un certo modo il discepolo. L’autore ha già visto, a lui la responsabilità ed il compito di rivelare quanto appreso, è sicuro, dalla via definita, un maestro e giudice del proprio tempo. I due si riuniscono nella Commedia al termine del percorso di apprendimento dell’attore, che da discepolo diventa maestro.

Dante, lui è noi

Ma anche all’interno della Commedia la figura di Dante-attore ha una doppia valenza. “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, dice infatti, non di “mia”. Qui è al tempo stesso lui e noi, Dante-persona e Dante rappresentante dell’umanità, alla ricerca di quella verità che possa portare alla salvezza del genere umano. Ciò che pare un cammino didascalico lineare dal basso dell’Inferno all’alto del Paradiso è in realtà un viaggio circolare che parte dal Dante-persona, si evolve in Dante rappresentante dell’umanità e culmina con il Dante-autore. Coincide infatti il compito profetico di rivelare quanto appreso. Di fare della sua esperienza privata un esempio collettivo di cammino verso una reintroduzione di quei valori della fede e dell’etica che sono stati smarriti nella società del suo tempo, moralmente e politicamente decaduta a causa della crisi delle istituzioni, Chiesa e Impero.

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Articolo a cura di Eleonora Chionni