Dopo Battiato, a chi va l’eredità di una musica che sa parlare? Franco Battiato se n’è andato in silenzio, un passo profondo sulle note dei suoi spartiti. E dietro i palchi è rimasto un patrimonio che ha la responsabilità della parola, della musica, di una potenza che ora cerca di consolarci. Il cantautorato italiano commemora una perdita che ci ricorda la necessità di un’arte così autentica. Saranno le giovani promesse a darci la speranza? Di immaginare e condividere una musica nuova ma sempre così antica, di chi scrive quello che riflette. Lo è, tra gli altri, la musica di Rachele Bastreghi. La musicista dei Baustelle, Rachele Bastreghi, ci racconta il suo primo vero album da solita: “Psychodonna”. Come una finestra specchiata, l’album sviscera le sue verità in penombra, dimostrando a sé stessa la potenza di una donna tra le donne. Quando la passione diventa energia, la stanchezza si trasforma in introspezione, la rabbia in grinta: questo primo esperimento di Rachele Bastreghi consolida il bisogno di rappresentare l’essenza delle cose, oltre i compromessi. In Psychodonna ritroviamo la leggerezza e la disperazione della libertà, che è sempre lotta ma anche piacere, è fatica ma soprattutto soddisfazione. E se questa missione si porta avanti in piazza, sugli spalti o in fila indiana, Rachele Bastreghi ci ha ricordato che si può fare anche con una canzone. Superando le etichette di genere, ritrovando nell’individualità una fierezza che svincola ogni pregiudizio. 

Ph. credit: La Repubblica

Sei anni fa Rachele Bastreghi pubblicava Marie, era un EP nato dalla sua partecipazione alla fiction Rai Questo nostro amore. Ma con Psycho l’atmosfera si fa più densa. Lo ha scritto durante un«lockdown artistico» come lei stessa lo definisce, ma ciò che punge lascia inevitabilmente anche un segno. E Rachele lo mette in scena, con questo primo album da songwriter prodotto con Mario Conte e suonato con colleghi quali Colapesce, Fabio Rondanini e Roberto Dellera. Un’altalena tra l’electropop e la classicità della “canzone”, Rachele Bastreghi sperimenta la sua musica rappresentando la complessità dell’essere veri e se stessi. In questa intervista ci dimostra quanto l’esercizio della realtà rivela nell’arte la bellezza dei contrasti.

L’intervista a Rachele Bastreghi

Hai sempre dichiarato che per te, nella musica, è la verità che conta. Che non capisci le cose belle ma artefatte, tutto questo era già chiaro con i Baustelle ma lo è ancora di più in “Psychodonna”. Primo album da solista in cui racconti, a partire da un profondissimo percorso di introspezione la tua personale verità. Sarai abituata a rilasciare singoli ed album, ma sapere che questa volta stai regalando al pubblico un pezzo di te che non conosceva del tutto prima, come ti fa sentire?

Sì, questo discorso sulla verità è vero, ovviamente parlo del mio modo di scrivere, di quello che succede a me quando ho bisogno di suonare, cantare e comunicare con la musica. Mi piacciono i lavori personali, i viaggi anche “difficili” ma che rivelano una visione, una identità. Mi piace scoprire un’anima, quando ascolto un disco. Questo è l’approccio che ho: buttarmi, immergermi, incasinarmi, scoprirmi, criticarmi, stupirmi, sognare e vivere. Psychodonna è un lavoro che grida voglia di libertà, è il mio biglietto da visita, il mio timbro, la mia essenza. Non potevo che mettermi in pista e correre, cadendo e rialzandomi più volte ma essere determinata a raggiungere la meta.  Avevo il bisogno di essere me stessa, nelle parole e nel suono. 

Quando si parla di parità di genere, si fa riferimento ad ambiti tecnologici e scientifici, in cui le donne, si sa, sono meno presenti o semplicemente meno celebrate degli uomini. Dopo gli episodi del #meetoo si è cominciato a parlare di parità anche in ambiti artistici, quali il cinema e la musica. Molte artiste internazioniali tramite le loro canzoni denunciano la situazione, parlando per esempio di quante poche donne siano headliner nei festival o di quanto, a volte, le musiciste si sentano dire che se sono arrivate ad alti livelli sia per merito del loro bel faccino. Tu che ci sei dentro, hai delle riflessioni da fare sull’ambiente musicale italiano in questo ambito? Purtroppo, credo che viviamo ancora in una cultura maschilista. La donna affronta battaglie personali e sociali da sempre, per avere semplicemente le stesse opportunità e gli stesso diritti…e ancora oggi, si sentono cose orribili da persone che vorrebbero pure comandarci. C’è un’ignoranza che mi fa paura e tanta rabbia. C’è un sistema sbagliato e retrogrado che continua a volerci dipingere e categorizzare, che puntualmente ci vuole mettere in un angolo, che ci dice come dover essere. E’ vero che in alcuni ambiti siamo in minoranza ma non è certamente per mancanza di capacità, creatività e volontà… a volte siamo viste come un’eccezione e io lo trovo veramente assurdo, anacronistico, bestiale. Sarà lunga la guerra…nel mio piccolo cerco di seguire la mia strada, di sforzarmi ad essere me stessa anche quando mi sento sola e scoraggiata. 

Il suono di Psycodonna è un connubio tra elettronica e rock. Quali sono i 5 album che ti hanno influenzata maggiormente a livello personale quanto artistico?Domanda difficile per una psychodonna 🙂 Ti rispondo, perdonami, citando 5 artisti (con fatica) che mi hanno sicuramente formata e ispirata: Nico e Velvet Underground, Morricone, kraftwerk, Battiato, Bach. 

Non è la prima volta che ti racconti in prima persona, ci ricordiamo ancora tutti del progetto Marie. Qual è la differenza con questo? C’è una maggiore consapevolezza di te stessa e della tua aspirazione? L’EP Marie è nato da una canzone che ho scritto per una fiction ambientata negli anni 70, “Questo nostro amore 70”, in cui ho interpretato il personaggio di una chanteuse, una femme fatale ispirata a donne magnetiche come Jane Birkin, Edie Sedgwick, Nico ecc.. Ho creato il mio alter ego e ho costruito un disco a tema che doveva suonare seventies e doveva cantare parole di amore e di addio. Psychodonna invece nasce da una mia urgenza espressiva, da una voce interna fortissima che aveva bisogno di trovare il suo spazio, di mettersi in gioco, di uscire dal guscio. Qui canto di me e del mio mondo, senza artifici e maschere.

Psychodonna: “un volo intimo e faticosamente libero”. Mi viene da dire che la tua più grande verità è la contraddizione. Parliamone. Mettersi a nudo e avere la necessità di scomporsi, di spogliarsi e di guardarsi a fondo è un lavoro molto faticoso perché trovi di tutto: ci sono luci abbaglianti e ombre nerissime, umanità e peccato, sogni e realtà, lotte e fragilità. Quando ho iniziato a scrivere i testi, mi sono lasciata andare e ho vomitato tutto quello che, nel bene e nel male, sentivo dentro.  Avevo il bisogno di cercare un equilibrio nel mio non equilibrio, di dare forma e sostanza al bello e al brutto, ai miei contrasti e a tutti quei colori che mi creano un movimento. Una coerente incoerenza costante, che poi per me, è la libertà.

Sei stata la madrina del premio Bianca D’Aponte nell’edizione che ha visto trionfare Francesca Incudine. Nel panorama attuale quali sono le tre artiste emergenti che ti hanno incuriosita di più e con le quale ti piacerebbe collaborare? È stata un’esperienza molto intensa! È un concorso musicale per cantautrici organizzato da persone veramente belle che ci mettono il cuore. Scegliere 3 artiste, di nuovo, mi mette in difficoltà, però in questo momento, vado sicura: La Niña, Madame, Emma Nolde. Sono entità diverse e ugualmente fortissime e spero che possano trovare la luce che meritano.

Da Betty a Penelope: in questi anni durante ai quali hai dato alla luce i personaggi che incarnano lo spirito dei due brani, quanto e come si è evoluta la donna nella tua musica? Con i Baustelle ho dato voce a tante donne diverse, interpretandole e dando vita alle loro storie. Ognuna ha significato un passaggio anche nella mia crescita e ha rappresentato esperienze ed emozioni diverse. Ho cantato di amori e sofferenze, di salite e di discese. Diciamo che Penelope, rispetto a Betty, si è fatta donna ed è più consapevole, parla in prima persona, vuole affrontare la vita guardando in faccia anche le paure e oggi ha gli strumenti per scegliere.