Sono lesbica e non ho mai fatto coming out. Non ne avevo bisogno, sapevo che la mia famiglia mi avrebbe accettato. Lo sapevo dai discorsi a tavola, dall’amore per la musica di Freddy Mercury di mia madre, dall’indifferenza di mio padre su qualsiasi questione che non fosse economica – costa essere lesbiche? No? Allora fai come ti pare -, dalla forza rivoluzionaria di mia nonna. Non l’ho detto perché non sarebbe cambiato nulla presentarmi con un ragazzo o con una ragazza e così ho fatto. Una sera del 2015 ho presentato la mia ragazza alla famiglia e non è successo proprio nulla.

Sono una lesbica privilegiata, perché nessuno mi ha odiato e quando è capitato, per strada, di ricevere strani commenti ho sempre avuto la faccia di chi non si doveva far arrabbiare e la voce ferma per poter gridare. Sono una privilegiata perché non ho conosciuto l’odio quando ero più fragile (pensiamo al caso di Malika), quando ero ancora al liceo, in quella delicata fase dell’adolescenza dove tutti gli altri apparivano più belli, più interessanti, più bravi, più pronti al sesso di me, più maturi.

Lesbismo e altri modi per dire che odio l’ “uomo”

Sono lesbica perché il mio rapporto con gli uomini è sempre stato particolarmente difficile. Non tutti gli uomini, ma quell’ “uomo“, quel soggetto che commenta sotto le foto quanto sei bella, che scrive in chat se sei libera quella sera anche se non lo conosci, quell’uomo che tocca sui mezzi pubblici, quello che si masturba sul sedile del treno, quello che solleva il vestito per strada, quello che commenta ogni ragazza che gli passa davanti con epiteti poco lusinghieri, quello che se ti vede con una donna per mano ti dice che sei lesbica solo perché non hai incontrato il giusto arnese con il quale divertirti.

Quell’uomo, proprio quello, è un esemplare specifico e molto diffuso. Non odio gli uomini in quanto tali, odio quando si comportano da “maschio tossico” senza capire che danneggia anche loro.
Se sono lesbica è merito di mio padre e del difficile rapporto che avevo con lui. Qualche psicolog* della domenica potrebbe dire che allora basta risolvere i conflitti con mio padre per tornare “normale”, ma non è così. Capire di odiare il maschio tossico, di odiare mio padre, è servito per comprendere una cosa: amo le persone. Essere lesbica per me vuol dire amare, lasciarsi attrarre sessualmente e sentimentalmente dall’altr*, dalla persona. Non amo le donne in quanto “portatrici di vagina”, non amo le donne perché più gentili, meno rozze, perché con loro posso parlare o condividere i dolori del ciclo. Non è quello che una lesbica cerca in una relazione se ve lo state chiedendo.

Teorie di riconversione per lesbica reticente

Da manuale io sono il perfetto caso della lesbica che “si può ancora aiutare”. Non indosso “maglie da uomo” (come se gli abiti avessero un sesso), non ho rasato i capelli (idem per l’aspetto) e mi capita ancora di innamorarmi di uomini (non è così raro). Gli altri casi sono persi secondo queste “teorie di riconversione”. Due sono le teorie che ci si sente proporre dagli etero (e da qualche omosessuale particolarmente scontento del fatto che a qualcun* non possa piacere lo stesso organo sessuale che lui ama, ma quello del pregiudizio gay verso le lesbiche è un altro discorso). Dicevamo due sono le teorie proposte alle lesbiche per tornare “normali”: provare l’esperienza sessuale con un uomo, solitamente lo stesso che propone questa tecnica miracolosa di cura al lesbismo o andare da un* specialista in materia.

Al soggetto che propone sesso etero e vanilla per scoprire la propria sessualità non si dovrebbero dedicare più parole di quelle che ho già scritto, mentre alla psicologa (si tratta di una donna nel mio caso) posso tentare di rispondere dopo anni di felice lesbianza.

Terapia per lesbiche: problematiche, solitarie, maschiacce. Davvero?

Avete presente la tecnica oroscopo? Ogni sentenza delle stelle e dei pianeti è assolutamente vera, ogni frase è azzeccata e descrive proprio noi e la nostra vita. Ecco, certe affermazioni di pseudo psicolog* specializzati nelle terapie di conversione funzionano allo stesso modo. Ti piacciono le donne? Allora, sicuramente eh, durante l’adolescenza hai avuto un conflitto o un attaccamento morboso con tua madre. Oppure hai subito abusi o hai avuto un pessimo rapporto con tuo padre. Sei stata depressa durante gli anni del liceo? Se rispondi di sì tranquilla non ti aiutiamo con la depressione, sei solo da riconvertire. Ma davvero è così? No.

Eppure ci sentiamo dire che siamo lesbiche perché abbiamo un’intelligenza superiore alla media. Siamo lesbiche perché i coetanei maschi maturano dopo; perché siamo più sensibili contro le ingiustizie; siamo, infine, lesbiche perché ci piacciono lo sport, i vestiti e i comportamenti maschili, perché la dicotomia tra odio e amore è più marcata. Ognuna di queste affermazioni è più o meno vera, dipende dalla persona, ma non sono davvero determinanti dell’orientamento sessuale. Per tornare a essere una “vera donna” avrei dovuto abbandonare il mio gusto personale per inseguire qualche modello preconfezionato di donna. No grazie, preferiscono essere lesbica, preferisco essere me stessa.

Giorno della visibilità lesbica - Photo Credits: web
Giorno della visibilità lesbica – Photo Credits: web

Lesbismo, femminismo e perché odiare le persone trans non serve a nulla

Qualche anno fa a Latina, mentre ero seduta con la mia ragazza alla fermata dell’autobus, mi sono sentita gridare dietro “ah lesbica!, ah femminista!” come se fossero degli insulti. Non ho riso, come propongono i carissimi Pio & Amedeo, ma ho ringraziato con un sorriso l’anziana signora. Era esattamente quello che volevo essere: una lesbica femminista.
Essere lesbica oggi, per me, vuol dire rifiutare l’immagine di donna legata alla famiglia, alla riproduzione dei figli, allo sfruttamento del corpo che le donne stesse, convinte che il “patriarcato” sia solo una parola inventata dalle femministe, propongono come modello di vita. Essere lesbica è una scelta politica, prima di tutto.

Voglio chiudere questa mia confessione di privilegiata lesbica-bianca-magra con un invito a non odiare. Si legge sempre più spesso online di lesbiche odiatrici di persone trans: secondo queste “lesbiche” non avere il ciclo equivale a non essere donne. Lascio rispondere Margherita Cavallaro, che ha espresso perfettamente la stupidità di tale affermazione sulle pagine del Fatto Quotidiano:

Voglio anche sottolineare quanto sia terribilmente diminutivo e sessista ridurre l’essere donna a un’emorragia mensile e agli sbalzi d’umore. Un uomo che dice “oh ma quanto stai nervosa! Hai il ciclo?” non è più sessista e imbecille di una donna che dice “se non sai cosa vuol dire essere intrattabile perché hai il ciclo, allora non sei donna.

E poi c’è l’esempio opposto, quello F to M, del quale prenderò come esempio l’attacco a Elliot Page. La vita di Elliot Page è stata usata per propagandare il presunto tradimento delle donne che “vogliono” diventare uomini. Perché, scrivono quelle di Arcilesbica, si fa di “tutto pur di non essere donne“.
Un discorso simile porta solo acqua al mulino del patriarcato, del mantenimento dello status quo. Non c’è nessun tradimento, nessun complotto. Prima le odiatrici lo capiranno, prima riusciremo a liberarci dal dominio maschile.

Letture:
Simone De Beauvoir – “Il secondo sesso”
Adrienne Rich – “Eterosessualità obbligatoria ed esistenza lesbica”

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Articolo di Giorgia Bonamoneta.