Derek Chauvin, l’ex agente di polizia 45enne che ha ucciso l’afroamericano George Floyd durante un fermo, è stato condannato a 22 anni e mezzo di carcere dalla Corte di Hennepin County, a Minneapolis. L’ex poliziotto era stato dichiarato colpevole il 20 aprile dalla giuria popolare per tutti e tre i capi di imputazione formulati contro di lui e oggi è stata appunto quantificata la sua pena, considerata però troppo breve dai familiari di Floyd e dalle associazioni a difesa dei diritti dei neri; la pubblica accusa aveva chiesto una condanna più pesante per l’imputato, ossia 30 anni di carcere.
Chauvin era finito nella bufera il 25 maggio del 2020, quando, in una strada periferica di Minneapolis, aveva tenuto, per nove minuti e 29 secondi, il proprio ginocchio piegato sul collo dell’afroamericano, schiacciato sull’asfalto. L’ex agente aveva affrontato le udienze del processo a suo carico mostrandosi quasi impassibile di fronte alle strazianti testimonianze presentate contro di lui da amici e familiari della vittima. L’imputato, durante il dibattimento, aveva preso la parola in aula soltanto una volta, per rivolgere le sue condoglianze ai parenti di Floyd. Chauvin, nel dettaglio, è stato dichiarato colpevole di omicidio colposo, di omicidio preterintenzionale e di condotta negligente.
Il verdetto a carico dell’ex agente ha però subito fatto infuriare gli attivisti neri, che, oltre per la tenuità della condanna, stanno protestando anche per il fatto che, con la buona condotta e altri benefici, l’assassino potrebbe trascorrere solo 15 anni dietro le sbarre. “Non sono a conoscenza”, ha commentato il presidente Usa Joe Biden, “di tutte le circostanze che sono state considerate ma la sentenza sembra appropriata”.
La pena irrogata è di 10 anni superiore a quella suggerita dalle linee guida per casi simili, una scelta – ha spiegato Cahill rivolgendosi all’ex agente – “dovuta al suo abuso di una posizione di fiducia e autorità, e anche alla particolare crudeltà” mostrata nei confronti di Floyd. Il verdetto ha deluso una larga parte dell’opinione pubblica americana, che lo considera troppo blando. “La mia scelta non è basata sulle emozioni ma sui fatti, e non vuole inviare alcun messaggio“, ha precisato il giudice, pur riconoscendo il turbamento che l’omicidio aveva causato nella comunità. “È stato un episodio doloroso per tutta la Contea di Hennepin, per lo Stato del Minnesota e per l’intero Paese“, ha detto. I lamenti di Floyd (“I can’t breathe“, “non respiro”) mentre moriva soffocato dal peso di Chauvin, diffusi in tutto il mondo grazie al video girato della 17enne Darnella Frazier, avevano dato il via alla maggiore protesta di massa contro la violenza razziale vista negli ultimi decenni, con milioni di persone in marcia per le strade degli Usa. Il gesto del ginocchio puntato a terra, da allora, è diventato un simbolo antirazzista adottato dal movimento Black Lives Matter.