Quella di Bill Cosby è stata una delle sole sette condanne per reati sessuali che hanno avuto origine dal #MeToo. Ed è stata annullata (l’attore è stato liberato il 30 giugno dalla Corte Suprema della Pennsylvania per vizi procedurali). Il bilancio del movimento, esploso sui social nell’ottobre 2017, è piuttosto deludente: le accuse sono state migliaia, le denunce centinaia e le condanne, a conti fatti, pochissime. Che cosa è cambiato in poco più di tre anni?
Decine di personaggi dello spettacolo e dei media sono stati accusati di molestie e hanno perso il lavoro.Altri uomini sono alle prime fasi dei procedimenti penali che li vedono coinvolti. Molte cause sono rimaste impantanate in un limbo legale, mentre gli avvocati stanno ancora litigando.
Il potente produttore cinematografico Weinstein (il movimento è partito proprio dalle accuse nei suoi confronti) è stato condannato per due reati sessuali da un tribunale di Manhattan, il 24 febbraio 2020, a 23 anni di carcere nei confronti di un’aspirante attrice (nel 2013) e della sua assistente di produzione (nel 2006). Ci sono almeno altri due procedimenti penali in corso a Los Angeles contro figure – meno conosciute – dell’industria dello spettacolo, ma sono stati pochi i procedimenti giudiziari contro i più potenti dello showbusiness.
L’attore Danny Masterson, tra i protagonisti della serie di Netflix The Ranch, è stato accusato di aver violentato tre donne nei primi anni 2000. Si è dichiarato non colpevole. David Guillod, produttore di Atomica bionda, è stato accusato di molteplici aggressioni sessuali, ai danni di quattro donne: anche lui si è dichiarato non colpevole.
Non tutti i reati sessuali possono essere perseguiti. O perché i fatti sono accaduti da troppo tempo, o perché non ci sono prove sufficienti, o perché i testimoni non sono reperibili o si rifiutano di testimoniare. Altre celebrità indagate dopo il #MeToo non sono mai state condannate o i loro casi sono stati archiviati. Fra i più importanti, il vincitore dell’Oscar Kevin Spacey, accusato di aver palpeggiato un ragazzo di 18 anni nel Massachusetts, nel 2016. Nel luglio 2019, però, il giovane ha ritirato le accuse.
Ci sono anche stati molti casi di accordo: ad esempio, quello da 2,2 milioni di dollari raggiunto il 30 giugno da James Franco, 43 anni, per chiudere una class action presentata da due sue studentesse di cinema. L’attore ha sempre negato le accuse, ma ha accettato l’accordo.
Nel frattempo, Hollywood ha promesso di mobilitarsi contro la cattiva condotta sessuale nel settore. Sono stati istituiti gruppi di difesa come Time’s Up, ci sono state proteste e conferenze stampa, indagini e resoconti sui media.
Movimento #MeToo, gli altri casi
Il finanziere newyorkese Jeffrey Epstein, il 10 agosto 2019, a 66 anni, si è suicidato in carcere a New York dove stava aspettando il processo per sfruttamento sessuale di minori. Era già stato in carcere ma poi rilasciato. Con l’esplosione del #MeToo, però sono saltate fuori le accuse di 36 ragazze, alcune giovanissime ed è tornato in carcere.
In carcere è rinchiusa ancora l’ex fidanzata di Epstein, Ghislaine Maxwell, per il quale procacciava ragazze minorenni. È detenuta per evidente pericolo di fuga nel carcere di Brooklyn, in attesa di due diversi processi per novembre.
“E’ l’ennesima prova che il sistema giudiziario tradisce le vittime delle molestie sessuali”, ha protestato su Twitter Dylan Farrow, la figlia adottiva di Woody Allen che accusa il regista di averla molestata quando era bambina: “Molte di queste vittime, guardando gli eventi di questi giorni, decideranno che uscire allo sciperto non vale la pena. Che anche quando viene resa giustizia, la giustizia puo’ essere ritirata”.
Una posizione in linea con quella di Andrea Constand, l’accusatrice di Cosby, dopo la decisione della Corte Suprema della Pennsylvania di annullare la condanna per l’ex Papà d’America per un vizio di forma: “Rischia di scoraggiare le donne vittime di violenza dall’accusare i loro aggressori”.
Nel caso di Franco, l’attore era stato stato denunciato per “sfruttamento sessuale” da due ex studentesse secondo cui il priotagonista di “The Disaster Artist”, aveva usato un programma del curriculum della sua scuola intitolato “Sex Scenes” per fare sesso con le allieve. Le donne, Sarah Tither-Kaplan che nel 2014 fu una delle prime allieve di Studio 4 e Toni Gaal, avevano sostenuto che Studio 4 fu creato per dar vita a “un costante flusso di giovani donne da oggettivizzare e sfruttare” sessualmente.
Le accuse erano venute in luce all’indomani dei Golden Globes quando Franco era apparso sul tappeto rosso con la spilletta del movimento “Time’s Up”, nato sulla scia delle accuse a Harvey Weinstein per ridare dignità alle donne a Hollywood, sul bavero della giacca.