Mario Placanica, il carabiniere che nel 2001 sparò a Carlo Giuliani durante gli scontri per il G8 di Genova, non ha mai subito una pena detentiva ma, ha sua detta, è finito comunque dentro, in una prigione senza via di scampo e senza alcuna compagnia.

Carlo Giuliani e Mario Placanica, Due vite spezzate

Era il 2001, a Genova si sarebbe tenuta la conferenza del G8, tanti manifestanti di movimenti pacifisti e No-global si presentarono nel capoluogo ligure per protestare contro le politiche neoliberiste dei paesi più industrializzati del mondo. Il resto è storia: le cariche, gli scontri, l’occupazione della Diaz, le manganellate dei carabinieri sulle ossa e soprattutto la morte di Carlo Giuliani.

Un tragico evento che divenne il simbolo della violenza dello stato sui cittadini uniti in protesta, che nasconde ancora alcuni dubbi e incongruenze.

Il 20 luglio 2001, in piazza Alimonda, una camionetta defender, bloccata da un cassonetto, venne assalita dai manifestanti, che iniziarono a tirare sassi, bastoni e altri oggetti contro di essa.

Carlo, nella ressa dei manifestanti, issò un estintore per tirarlo contro i carabinieri. A quel punto uno degli agenti, Mario Placanica, impaurito esplose due colpi.

Mario Placanica
Il corpo di Carlo Giuliani (Sean Gallup/Getty Images)

Un colpo prese il ragazzo sullo zigomo sinistro, il secondo si conficcò nel muro della chiesa in fondo alla piazza, il ragazzo si accasciò a terra e sul suo corpo passò la camionetta delle forze dell’ordine.

Carlo aveva solo 23 anni e Mario ne aveva 20. Entrambe le loro vite, quel giorno, andarono in frantumi.

La prigione di Mario

Io sono morto da quel giorno come Giuliani. Sono un uomo di 40 anni che vive buttato come una cosa abbandonata. Senza amici, li cerco su Facebook ma i loro nomi non li trovo più. Senza lavoro. (…) L’unica distrazione che ho è guardare mio zio che annaffia le piante alle 4 e 30 del mattino. Che devo fare? Non lavoro dal 2014. Ero in graduatoria per un posto al Ministero dell’Interno ma poi sono stato dichiarato inabile.

Così Mario si è espresso in un intervista con l’AGI, parlando della sua vita dopo i fatti di Genova. Venti anni passati in una prigione ben peggiore di quella dello stato, la prigionia della depressione.

Per un periodo il soggiorno in comunità, voluto dai genitori, lo aveva aiutato ad uscirne, ma la recente morte del padre ha riaperto il dolore.

E’ morto l’anno scorso, giovanissimo. Nei giorni successivi ho aspettato che si presentasse un rappresentante dello Stato, uno qualsiasi. A dirmi: “Signor Placanica, non si preoccupi, siamo con lei”. Bastava che suonasse anche un vigile del Comune. Ho sofferto tantissimo che nessuno abbia bussato.

Si esprime nettamente sul caso del G8 e sugli atti da lui compiuti dimostrando tutto il suo cordoglio nei confronti della famiglia di Carlo.

Quello che è successo al G8 è stata una cosa molto brutta, eravamo due ragazzi che portavamo ideali diversi, ma due ragazzi. Io servivo lo Stato, Giuliani manifestava. Soffro pensando a Carlo, aveva 20 anni come me. Ho incontrato Giuliano (il padre di Carlo, lo chiama per nome, ndr) due volte, per caso o forse perché aveva organizzato la moglie, alla stazione Termini. Ci siamo stretti la mano. Ma sento di avere il dovere di incontrare anche la mamma. Per chiedere scusa, ma non perché sono un assassino. Io non lo sono.  Ho creduto che fosse impossibile difendermi e ho sparato due colpi in aria. Non mi rendevo conto di quello che stava accadendo, avevo 20 anni.

Quest’uomo ha pagato, e sta pagando, per colpe che non possono essere ricondotte a un solo uomo, ma a un sistema, che ha portato un ragazzo di venti anni a ucciderne un altro. Una tragedia che ha distrutto due vite per sempre.


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Franco Ferrari