La procura di Mantova ha deciso di indagare per istigazione al suicidio in merito alla morte di Giuseppe De Donno, lo pneumologo mantovano – padre della contestata terapia del plasma iperimmune per curare i malati di Covid – suicidatosi martedì scorso nella sua casa di Eremo di Curtatone. Il medico non ha lasciato nessun messaggio in cui spiegava le ragioni del suo gesto che, al momento, si ritiene sia stato volontario. Domani mattina sarà effettuata l’autopsia presso le camere mortuarie dell’ospedale di Mantova, come disposto dalla procura. I funerali non si terranno prima della prossima settimana. Il corpo del medico è stato trovato dai famigliari, ma la procura vuole capire se nel suicidio possano esserci responsabilità di terzi. Già ieri sera i carabinieri e il magistrato hanno sentito i familiari, la moglie e i due figli, mentre sono stati posti sotto sequestro i cellulari e il computer del medico.

Giuseppe De Donno aveva 54 anni e si era dimesso dall’ospedale di Mantova Carlo Poma ai primi giorni di giugno per cominciare, lo scorso 5 luglio, la nuova professione di medico di base a Porto Mantovano. L’ex primario viveva con la moglie Laura e due figli, Martina, consigliere comunale a Curtatone, e EdoardoDe Donno, nei mesi caldi della pandemia dello scorso anno, era diventato il simbolo della lotta al virus condotta con il plasma prelevato dagli infettati e guariti e poi trasfuso nei malati. La sua battaglia per imporre la terapia aveva suscitato molte polemiche, dividendo sui social l’opinione pubblica tra favorevoli e contrari. De Donno era un assiduo frequentatore, fino a qualche mese fa, di Facebook, dove anche con falsi profili discuteva con se se stesso dell’efficacia del plasma iperimmune. Qualche tempo fa ne era però uscito quando si era accorto che tanti dei suoi seguaci erano no vax. Sui social la sua morte, oltre a suscitare cordoglio e commozione, ha anche scatenato una ridda di teorie complottistiche. Soprattutto, sulla sua decisione, improvvisa, di dimettersi da primario ospedaliero per intraprendere la carriera del medico di famiglia.

De Donno era un fervente promotore della terapia a base di trasfusioni di plasma di persone guarite, che nella prima ondata della pandemia di Covid-19 rappresentò un faro di speranza prima dell’avvento di altre cure e dei vaccini. Il suo nome oggi risuona nelle piazze dove avvengono le proteste dei no-vax, che sostengono l’efficacia della sua controversa terapia.

Come riporta l’Ansa, la delusione per la terapia del plasma, non da tutti ritenuta efficace, avrebbe riaperto in lui una profonda ferita; De Donno soffriva infatti di un disagio psicologico che, proprio durante l’emergenza Covid e i lunghi turni di lavoro, era riuscito a tenere a bada.

L’Asst Mantova, attraverso una nota di cordoglio, lo ha ricordato così: “Giuseppe era a momenti solare e in altri ombroso, perché disilluso da qualcosa o indispettito o arrabbiato per non essere riuscito a fare quello che sperava per i pazienti. Per fortuna erano più i successi che gli insuccessi e questo era in gran parte merito della sua caparbietà, che ha dimostrato bene nel periodo così drammatico della pandemia, ma che in parte lo ha profondamente logorato e stancato, come è accaduto a molti di noi e forse a lui più che a tutti”.