Il Libano, un anno dopo l’esplosione a Beirut, nulla è cambiato, anzi peggiorato. Metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà, mancano le medicine e la valuta nazionale è crollata del 90 per cento. Duecentodiciotto morti, 7.000 feriti, 77mila appartamenti distrutti o danneggiati, 300mila sfollati e danni per oltre quattro miliardi di dollari, secondo la Banca mondiale. A un anno dall’esplosione al porto di Beirut – che ha devastato interi quartieri della capitale libanese – il governo e la magistratura non hanno ancora indicato colpevoli all’origine di queste spaventose cifre. Non avevano atteso indagini, i residenti di Beirut, i familiari delle vittime: “Il nostro governo ha fatto questo”, aveva scritto qualcuno in inglese, nei giorni immediatamente dopo l’esplosione, su un muretto di cemento, con la vista sugli immensi silos di grano del porto, sventrati e fumanti nel mezzo della devastazione.
La crisi finanziaria che aveva innescato le speranze della «rivoluzione del 17 ottobre» nell’autunno del 2019 ha lasciato metà della popolazione sotto la soglia della povertà, la lira si è svalutata del 90 per cento, l’inflazione è arrivata al 400 per cento annuo, il 77 per cento delle famiglie fatica persino ad acquistare cibo a sufficienza e gli scaffali delle farmacie sono vuoti. Una guerra senza una guerra. «È peggio di allora», dicono quelli che hanno visto il conflitto civile scoppiato nel 1975. Il Libano affonda, ma dal gorgo rischia di emergere un solo vincitore, Hezbollah, il Partito di Dio, legato a doppio filo all’Iran. Teheran è già pronta a offrire carburante gratis, con la mediazione del leader Hassan Nasrallah, deciso a ergersi a «salvatore» dei libanesi, mentre continua a ripetere che l’alleato sciita è pronto «a fornire subito petrolio e medicinali». Il Partito di Dio riceve ancora valigie di dollari dall’Iran, al ritmo di 100 milioni al mese. Nelle aree sotto la sua influenza girano più soldi. I servizi di base, come ambulatori e scuole, sono rimasti in piedi. A Dahiyeh, la periferia meridionale sciita di Beirut, specie nei sobborghi più «borghesi» come Ghobeiry o Safarat Kuwait, l’impressione è che la crisi morda meno.
Il Libano, un anno dopo l’esplosione a Beirut
Nella realtà nulla è cambiato. Anzi la situazione è gradatamente ma rapidamente andata a peggiorare e ora il Libano si trova stretto in una morsa che interessa non solo lo stato e le sue istituzioni, ma la vita quotidiana del cittadino comune, che vede la sua vita limitata a causa della mancanza anche dei generi di prima necessità e dei servizi essenziali, con una leadership che non sembra in grado di fornire delle risposte concrete e celeri.
In questi ultimi giorni si intravede una possibilità, almeno dal punto di vista politico di una virata in senso positivo della situazione. Infatti vi è la possibilità concreta della formazione di un governo nazionale che possa scongiurare i rischi legati al crollo totale dell’apparato statale e di tutto il sistema Libano.