La saga di Alien è uno dei multiversi più famosi, espansi e apprezzati del mondo horror. Realizzato sul calare degli anni ’70, l’ampia sperimentazione attorno alla pellicola con protagonista Sigourney Weaver ha unito efficacemente horror e fantascienza in uno slasher in cui, per la prima volta, l’Arena è l’astronave Nostromo fluttuante nello spazio.
Una volta luogo di protezione materna, l’astronave diventa una madre arcaica e crudele (un po’ come quella di Coraline) che tradisce i suoi figli – i membri dell’equipaggio – per la Compagnia. All’interno della Nostromo agisce indisturbato l’iconico xenomorfo, oggetto feticcio dell’astronave nonché replica umanoide della madre mostruosa che terrorizza e decima l’equipaggio in uno schema alla Dieci piccoli indiani.
A fare da controparte c’è proprio la final girl Ripley: il suo corpo femminile è rassicurante perché decodificabile come umano e non mostruoso. Lo riconosciamo, sappiamo come è fatto ed è proprio la sua familiarità che ci fa fidare di lei, oltre al fatto di essere un’esperta astronauta. La sua presenza sullo schermo ci tranquillizza e ci fa empatizzare con lei, perché rappresenta la nostra unica speranza. In fondo, quando siamo in difficoltà il pensiero non va subito alle nostre mamme?
Ma insieme a Ripley su quell’astronave è rimasto qualcuno, e non è lo xenomorfo: bensì il gatto Jonesy, l’oggetto-feticcio dell’astronauta. Protetto maternamente, il gattone rosso di Alien è la controparte dello xenomorfo, un segno tranquillizzante di ciò che riconosciamo in quanto feticcio della donna “normale”. Jonesy è un feticcio accettabile, mentre lo xenomorfo è un feticcio mostruoso.
Chiara Cozzi
Segui Metropolitan Magazine ovunque! Ci trovi su Facebook, Instagram e Twitter!
Ph: supereva.it