A partire da quegli astrologi medio-orientali secondo i quali proprio il sesto giorno dell’anno doveva essere una data magica per eccellenza. All’inizio del Cristianesimo, anche il Natale veniva celebrato infatti nella stessa data. Mentre di Epifanie, “manifestazioni” della divinità di Gesù, se ne celebravano altre: dal battesimo al miracolo delle nozze di Cana.
È più o meno dal V secolo che il Natale viene a coincidere definitivamente con la festa pagana del Sol Invictus (e qua è materia di dibattito se sia stato il cristianesimo a sovrapporsi alla festa pagana, oppure se Aureliano nel 274 avesse istituito quell’evento proprio per togliere spazio a un sempre più importante appuntamento cristiano). E l’unica Epifania resta la commemorazione della visita dei Magi a Gesù. Una celebrazione religiosa che il folklore ben presto trasforma nella festa della Befana. Un personaggio buono che ai bambini cattivi porta “aglio, cenere e carbone” e con strani attributi, dall’aspetto fisico al volo sulla scopa, sovrapponibili a quelli di personaggi malefici come le streghe.
Secondo diverse leggende la Befana viene identificata con personaggi condannati a fare buone azioni per espiare le colpe dei propri congiunti. In particolare la nonna di Erode autore della strage degli innocenti, o la moglie di Ponzio Pilato che aveva condannato a morte Gesù, o la zia di Barabba, scelto dal popolo al posto di Gesù per essere salvato dalla croce.
Ricco era alche il folklore relativo ai preparativi per l’arrivo della Befana: dalla calza da lasciare appesa al camino perché venga riempita di doni, al cibo per permetterle di rifocillarsi che doveva essere rigorosamente a base di ricotta, vista la sua proverbiale mancanza di denti. Tradizioni che, in parte, sono comuni ad altri “portatori di regali”: dai “morti” del primo e 2 novembre alla Santa Lucia del 13 dicembre, ricordata nei racconti di Guareschi, fino a Gesù Bambino. Fu il regime a decidere di unire tutte queste tradizioni nella Befana Fascista, pensata per dare visibilità fasci femminili e all’opera nazionale del dopolavoro che, per l’occasione, raccoglievano doni per le famiglie più povere. Prima edizione, nel 1928.
C’era una volta la Befana Fascista: questa istituzione amatissima dagli italiani, e che ancora in certe forme si perpetua così come la pensò il fascismo, fu un vero colpo di genio, non di Mussolini, ma di Augusto Turati, l’allora segretario del Partito Nazionale Fascista. Turati, oltre a essere un politico, era un giornalista, uno sportivo e un dirigente sportivo (tra l’altro fu anche direttore della Stampa di Torino): campione di scherma, fu presidente della Federazione Scherma, del Coni e del Comitato Olimpico Internazionale. Moderato, era tuttavia un fascista della prima ora: dopo la partecipazione alla Grande Guerra come capitano (fu anche decorato) aderì infatti ai Fasci di Combattimento nel 1920 e al Pnf nel 1921. Divenne poi segretario bresciano del Partito, dove si distinse per la lotta a quei latifondisti che non rispettavano le normative fasciste in favore dei contadini. Nel 1926 il Duce lo volle a capo del Partito , anche se non la pensavano in modo uguale su diverse questioni. Nel 1927, a quanto pare, Turati nel corso di un viaggio a Buenos Aires ebbe modo di osservare la Befana organizzata dall’Associazione lavoratori fascisti emigrati in Argentina, e volle riproporre la cosa in Italia. La Befana in quegli anni era un po’ in ribasso, anche se era sempre radicata nell’animo degli italiani. Il fascismo, prendendola in mano e gestendola, ne fece uno egli avvenimenti più importanti e sentiti dell’anno. La cosa funzionava così: tutti i federali sensibilizzavano le imprese, le banche, i privati a donare beni e denaro per la Befana dei più poveri e e soprattutto dei bambini. Le organizzazioni giovanili e femminili fasciste si occupavano dell’aspetto logistico, che si rivelò subito imponente, e il 6 gennaio mattina si teneva nelle locali Case del Fascio la solenne distribuzione di doni ai bambini figli delle classi meno agiate. Le distribuzioni si svolgevano anche per figli di lavoratori di determinate categorie: ferrovieri, postali, metalmeccaninci, minatori, agrari, etc.
La prima di queste Befane si tenne il 6 gennaio 1928, e da allora non si è più interrotta. Nel 1935 cambiò denominazione in Befana del Duce, nel 1940 divenne Befana del Soldato e con la Repubblica Sociale Italiana tornò alla denominazione originaria Befana Fascista. Milioni di pacchi ogni anno venivano distribuiti ai più piccoli, e dalle foto che ci sono giunte era veramente una festa: giochi di ogni tipo, dai trenini ai soldatini, strumenti musicali, dolciumi, abiti, bambole, carrozzine, cibarie, e chi più ne ha più ne metta. I federali inoltre provvedevano alla consegna riservata di somme di denaro ai capifamiglia più indigenti. E dopo la guerra la tradizione non si interruppe neanche per un anno: tutte le categorie e le imprese avevano apprezzato il grande valore sociale delle Befane, le quali continuarono, come molti ricorderanno: le banche, i ministeri, le imprese più grandi organizzavano per i figli dei loro dipendenti delle spettacolari Befane, in alberghi o aule magne. Ci piace infine ricordare che sin dal 1947 il Movimento Sociale Italiano organizzò le Befane tricolori, solitamente in cinema o hotel, in cui gli esponenti del partito come Turchi, Michelini, Tripodi, Caradonna o Tedeschi distribuivano ai bambini i doni. E spesso questi politici erano essi stessi i finanziatori di tutto. E dopo proseguirono le Befane tricolori con Alleanza nazionale, il Pdl e oggi con Fratelli d’Italia e CasaPound. La Befana Fascista insomma vive ancora: in altre forme, con altri nomi, ma ancora regala felicità ai più piccini, con lo stesso spirito solidale e sociale con cui naque nel 1928