Dying Light 2: Stay Human, oggetto di questa recensione, è un videogioco con gli zombie. In breve, molto in breve, troppo in breve. Ce ne sono tanti di videogame a tema apocalisse, nei quali l’umanità fa una brutta fine più o meno collettivamente. E ai sopravvissuti non resta che ricostruire, o tentare di farlo, una società sulle fondamenta della vecchia appena distrutta. Ma se Dying Light 2: Stay human fosse solo un videogioco con gli zombie, l’ennesimo, il titolo di questa recensione non sarebbe giustificabile in nessun modo. Invece, è molto di più: l’apocalisse videoludica perfetta. Narrativamente, ludicamente, artisticamente. Emotivamente. Sopravvivere alla grandiosità del capolavoro di Techland, insomma, non è affatto scontato.
N.B. Potete ascoltare il testo di questa recensione in formato Podcast cliccando >>>QUI<<<
Dying Light 2 Stay Human Recensione, Aiden il pellegrino
Aiden, il protagonista, è un pellegrino: un coraggioso attraversatore dei territori che nessuno osa più calcare. Foreste invase dagli zombie; gallerie scure che si inerpicano dentro alle montagne; campi aperti abbandonati da tutti, o sui quali i meno forti o pronti hanno trovato la morte. L’epidemia, la stessa di Dying Light 1, si è diffusa rapidamente, mentre la popolazione ignorava gli avvertimenti e i potenti sottostimavano la portata degli esperimenti volti a usare un terribile virus come un’arma. Tutto nella norma, quindi, nel mondo del fantastico (un certo Resident Evil non iniziava forse più o meno in questo modo?).
Funziona così: se ti ammali, senza raggi solari a bloccare l’avanzata del virus ti trasformi in breve tempo in un morto vivente assetato di carne. Aiden lo sa bene: ha passato gli ultimi 15 anni della sua vita scappando dai mostri che lo inseguono tanto nella vita di tutti i giorni, sulle strade, quanto nella sua mente. Mostri provenienti dal suo passato misterioso, avvolto da folte tenebre. L’unica luce che lo spinge ad andare avanti e indagare, giorno dopo giorno, è sua sorella Mia. Proprio per ritrovarla, Aiden è diventato un pellegrino in cerca di notizie, segreti, informazioni.
Benvenuti a Villedor!
Un giorno, qualcosa va storto. Un informatore conduce Aiden nella città di Villedor, una delle più vaste roccaforti europee, nella quale l’epidemia è tenuta sotto controllo da strenui sopravvissuti. Dal momento in cui Aiden si precipita in città, però, il suo mondo crolla. Il responsabile della scomparsa di Mia si trova a Villedor, Aiden l’ha visto, l’ha riconosciuto. Ma è proprio in quel momento che viene morso da un redivivo, e rischia di perdere il senno. Si salva, aiutato da un misterioso ex-soldato francese.
Ma ora dovrà combattere una battaglia su più fronti. Contro l’uomo che potrebbe sapere dove si trova Mia. Contro i non morti che circolano liberi a Villedor, nei luoghi che gli abitanti non riescono a tenere al sicuro con le luci ultraviolette che imitano i raggi solari. Ma anche contro gli abitanti stessi, se necessario; abbrutiti dal sorgere di un’alba oscura. Un nuovo medioevo senza armi da fuoco (i proiettili sono stati tutti sparati contro gli zombie, nel tentativo vano di arrestarli…). In cui l’uomo è contemporaneamente vittima, cacciatore, preda e predatore. In ultimo, una battaglia contro sé stesso, e contro il virus che lo ghermisce sempre più stretto.
Come le increspature
Un incipit al cardiopalmo, non c’è che dire. Interamente giocabile peraltro, in modo da immergerci fin dall’inizio nelle meccaniche basilari nel corso di una sorta di lungo tutorial esperienziale. Impareremo come muoverci a Villedor facendolo, insomma, fin da subito in pericolo, e con il cuore perennemente in gola per la tensione, l’adrenalina, o la paura. Un incipit dal quale la storia, organizzata in missioni principali e secondarie (TANTE secondarie) si libra ora leggera come una piuma, ora pesante come un macigno. Ma non in linea retta, o “ad albero”. Bensì, più simile alle increspature sull’acqua. Omnidirezionalmente, e su più fronti, anche contrapposti, in seguito a una singola scelta che operiamo… o non operiamo.
Aiden e il suo arrivo a Villedor sono il sasso. Mentre il fluido di cui fanno parte la città e la sua struttura, il gameplay, i personaggi, primari e secondari, la lore e la storia che Aiden sta vivendo in tempo reale sono la trama, i suoi numerosissimi outcome. Non solo narrativi, ma anche e quasi soprattutto ludici.
La città, infatti, come anticipavo è sotto lo stretto controllo di varie organizzazioni di sopravvissuti. Tutti, ve lo assicuro, armati di ragioni validissime per compiere le azioni che portano a termine; addestrati da una backstory convincente, appassionante, diversa per ognuno. Affilati e resi pericolosi dalle loro ferree motivazioni… e da un arsenale composto da armi di fortuna notevole. Aiutare l’una o l’altra fazione, poi, oltre che una scelta moralmente difficile, si rivela una decisione capace di plasmare il level design dei quartieri della città. Favorendo l’esplorazione verticale, sui tetti, con corde laddove a inizio gioco non ve ne erano; o il movimento orizzontale, aiutandoci a sterminare i non morti con trappole sparse nelle strade. Il tutto, ovviamente, dotandoci mano a mano di nuove abilità tanto efficaci da non temere più nessuno, vivo o “non morto” che sia.
Dying Light 2 Stay Human Recensione, PARKOUR!
PARKOUR! Una parola da leggersi con l’intonazione che avete già figurato nella vostra mente, se siete fan di The Office o dei meme che ne sono scaturiti. Nonché, la base del gameplay di Dying Light 2: Stay Human. Chi ha già vissuto l’esperienza del primo Dying Light si troverà a proprio agio con Stay Human; che propone il galvanizzante format di movimento misto orizzontale, verticale, obliquo, in salto, capriola, arrampicata ecc.ecc. che, appunto, è riassunto nel termine “parkour”. Ma a differenza del predecessore, il titolo odierno porta uno step più su la piacevolezza delle sessioni acrobatiche, eseguite appesi a pennoni di bandiera, tetti di case e tettucci di automobili.
Complici di questo step-up, oltre alla non ovvia perfezione tecnica del titolo (mai colpevole di lag, rallentamenti, incertezze di sorta), sono un’ambientazione, Villedor, ancor più rifinita, studiata, BELLA tanto esteticamente quanto logisticamente. Nonchè il set di abilità sbloccabili per Aiden, suddivise in un albero dedicato alla corsa, e in uno basato sul combattimento. Una volta raggiunte “le foglie” (abilità) più succose, muoversi e combattere in Villedor diventa un continuo piacere volteggiante. Un’attività mai noiosa, grazie alle infinite possibilità di approcci a ogni percorso che il level design non solo consente, ma addirittura incentiva.
Senza contare che avanzare di livello non è uno scherzo senza il giusto approccio al ciclo notte/giorno, alle missioni secondarie e all’ottenimento di miglioramenti non solo per noi, ma anche per il nostro arsenale. La sopravvivenza, insomma, è un’arte. E, in Dying Light 2, o si diventa artisti in breve tempo, o avanzare, anche fosse nella sola storia principale, resta un’utopia.
Sopravvivere soprattutto e sopra a tutto/i
Descrivere a parole, senza darvi la possibilità di toccare con mano, l’infinita varietà di mansioni, missioni, combattimenti, spostamenti e modi molteplici per concludere le operazioni di cui sopra è impossibile. Il modo migliore per raccontarvelo, probabilmente, è pertanto attraverso la definizione dei generi videoludici nei quali si può inscrivere Dying Light 2: Stay Human. Che è un RPG tanto nella narrativa, quanto nell’evoluzione del personaggio e dei suoi equipaggiamenti. Ma anche un Survival, per via della distribuzione parsimoniosa (più o meno in base alla difficoltà che selezionate a inizio avventura) dei beni di consumo, degli equipaggiamenti e delle cure. Sono molto survival anche la necessità di gestire gli item necessari a sopravvivere durante la notte, lontani dalla luce del sole. Senza la quale un timer di minimo 5 minuti ci separa dalla trasformazione in morti viventi (a.k.a. da un game over).
Dying Light 2, però, è prima ancora un Adventure-Action meravigliosamente approfondito; sia durante gli spostamenti rapidi tra i tetti e nei viicoli di Villedor, che soprattutto nel corso dei combattimenti. Contro avversari non morti, ovvio, divisi in categorie individuabili dall’aspetto in base al loro peso, reattività e velocità di movimento; oppure in tipologie uniche legate a poteri offensivi o difensivi particolari, che li trasformano in “anomalie” durissime da sconfiggere. Ovvero, Boss da affrontare in forma ora opzionale, ora obbligatoria, con metodi diversi in base alla natura della loro seconda trasformazione. Qualcuno ci vomiterà addosso dell’acido, altri saranno fulmini velocissimi. Altri ancora… chissà. Di sicuro, però, sconfiggendoli otterrete dai loro corpi ricompense uniche e proporzionate alla sfida affrontata.
Ma se siete stati attenti lettori saprete che anche gli umani, a Villador, ci sono spesso ostili. Con loro, i combattimenti diventano virtuosi quasi al pari di un SoulsLike; costringendoci a imparare come schivare, come parare o effettuare parry e risposte. Nonchè, a osservare come l’IA dei nemici si adatta, in maniera organica e sorprendentemente efficace, alle nostre strategie di offesa. Non sperate di giocare pigiando sempre e solo il pulsante di attacco, insomma.
Un’esperienza orrorifica, ma non per gli occhi
Durante tutta la durata della mia esperienza (coerente con quanto promesso dai developer) ho provato una gamma talmente vasta di emozioni che non saprei dirvi, esattamente, quale sia stata la predominante. C’era la smania, sotto forma di desiderio di completismo; nutrita da secondarie strutturate, varie, narrativamente coerenti e con il giusto equilibrio premio/sfida. Ma c’era anche l’emozione frettolosa della fuga da orde di nemici urlanti, attratti magari da una mossa parkour finita male durante la notte; quando nelle strade circolano pericolosi “strilloni” pronti ad allertare un numero indefinito di avversari “corridori”.
La stessa fretta, smania, l’ho provata ogniqualvolta decidevo di affrontare vis a vis un nemico particolarmente grosso, o un gruppetto di avversari più nutrito. Conscio che dovevo stordire qualche elemento con parry, calci volanti e altre esibizioni atletiche per uscire indenne dall’impari duello. Ma poi, Dying Light 2 è divenuto anche la palpitazione silenziosa dello stealth. Compagno immancabile e irrinunciabile specialmente in alcuni frangenti delicati a inizio gioco. Sapete, quando non abbiamo a disposizione armi da lancio, molotov, coltelli, bombe e via dicendo. Con un tubo bucherellato e arrugginito come arma, e una maglietta unta come armatura pettorale non vi consiglio di attaccare troppo briga…
Infine, ho avvertito financo i morsi della rabbia cieca, quando una missione mi risultava troppo ostica; seguita sempre, però, dall’esplosione soddisfacente di endorfine quando, infine, trovavo un escamotage fantasioso per portarla a termine. Un modo solo mio, spesso, che dipendeva dal mio set di abilità, dal mio equip, e dal mio desiderio di combattere, o fuggire il più rapidamente possibile per avanzare con la storia principale. La tensione, la paura dell’ignoto o del fin troppo noto (e pericoloso) non mancano, insomma, in un turbinio di eventi orrorifici eleganti, e mai “jumpscare”.
Una nota conclusiva: tutte queste emozioni sono tenute insieme da un comparto tecnico più che all’altezza in ogni situazione. I tempi di caricamento sono inesistenti, il framerate è stabilissimo, e il mondo è TUTTO interconnesso, e soprattutto bucherellato come una groviera da esplorare, buco dopo buco. Un risultato da non sottovalutare, dato che a un numero infinito di approcci diversi, corrisponde per forza di cose un numero ancor più vasto di possibili bug e problematiche; che scaturiscono da un salto imprevisto, un “aggrappaggio” non preciso, o un colpo inferto che non raggiunge l’obiettivo, per esempio. Comunque, una patch D1 corposissima sarà disponibile il 4 febbraio, proprio per evitare anche i pochi, saltuari problemi che ho individuato nel corso della mia prova.
Dying Light 2 Stay Human Recensione, in conclusione: un nuovo caposaldo irrinunciabile del genere RPG Action
Dying Light 2: Stay Human è un gioco straordinario, che non potevo non premiare, in fase di recensione, con un dieci pieno. Un voto giustificato anche solo dalla scelta di far collidere così tanti generi in un singolo titolo; tutti senza fare compromessi di sorta. Inoltre, un voto che assegno con la consapevolezza di quanto sia stato duro procedere con lo sviluppo del titolo; di quanto in quel di Techland non si siano arresi alle difficoltà, e abbiano deciso coraggiosamente di rinviare un prodotto che, altrimenti, data la sua complessità, sarebbe stato l’ennesimo “Cyberpunk 2077”.
Invece, il tempo è stato galantuomo. Dying Light 2: Stay Human ci è stato recapitato completo, rifinito, divertentissimo da giocare, ed emozionante da dipanare e scoprire scelta dopo scelta. Colpo dopo colpo, dopo salto, dopo capriola dopo evoluzione “PARKOUR!”. Non ho dubbi al riguardo: è un gioco che segna un punto negli annali del genere RPG Action. Ditemi voi, se questo assunto non merita un dieci…
P.S. ve lo avevo detto che tutta la campagna si può affrontare in Co-op con fino a tre amici? NO? BEH, ECCO: si può fare. Ed è stupendo.
DYING LIGHT 2 STAY HUMAN RECENSIONE | TESTATO SU PC (STEAM)
Specifiche del PC su cui è stato eseguito il test:
- Sistema operativo: Windows 10 (64-bit)
- Processore: AMD 7 3700x
- Memoria: 16 GB di RAM
- Scheda video: NVIDIA GeForce RTX 3070
+E’ un vasto, vastissimo gioco di ruolo action-survival
+Combattimenti sempre vari, tante armi diverse e IA intelligentissima
+Level design impeccabile, Art direction ispiratissima: Villedor è una location memorabile!
+PARKOUR!
-E’ un vasto, vastissimo gioco di ruolo action-survival… per alcuni anche troppo!
-Tante armi, sì, ma moveset quasi identici per molte