L’esplosione, che non ha causato vittime, è avvenuta in pieno centro città, nel parcheggio del palazzo governativo dell’autoproclamata Repubblica filorussa di Donetsk. La macchina militare di Denis Sinenkov, capo delle milizie locali, è saltata in aria. Di lei resta solo la carcassa sfigurata, circondata da suoi pezzi volati nell’arco di 10 metri: pezzi di cofano, di sedili, di pneumatici. Intorno camminano nervosamente dei soldati in divisa o in borghese.
Alcuni imbracciano dei kalashnikov, altri dei metal detector con cui girano intorno quel che resta della vettura ed esaminano le macerie. Le ricerche mostrano che non si è trattato di un missile o di un mortaio sparato da lontano, ma probabilmente di una bomba. Secondo alcuni militari sarebbe stata posizionata manualmente e si tratterebbe di un probabile attentato compiuto da una cellula filo ucraina presente a Donetsk. Secondo le autorità ucraine e americane, invece, sarebbe tutto una messa in scena per accrescere le tensioni. Il dipartimento di stato americano ha bollato l’episodio come un’operazione di “false flag”, ovvero condotta in modo da fare ricadere le responsabilità su altri. Accuse che i filorussi respingono.
“L’esplosione è stata causata da una bomba artigianale», dice Danil Bezsonov, vice capo ministro dell’informazione della repubblica di Donetsk mentre guarda verso il luogo dell’esplosione. «Non è una novità. È da otto anni che viviamo in una situazione di perenne minaccia di bombardamenti. Voglio però dare un’opinione personale: la situazione odierna è la più pericolosa che abbiamo mai vissuto». Anche altri miliziani intorno a lui sono dello stesso parere. «Stasera parte la guerra», dice uno di loro. Sembra quasi un profezia: nella notte un’altra esplosione scuote il Donbass, questa volta a Lugansk, dove salta e prende fuoco il gasdotto Druzhba