Dietro lo schermo i corpi si accasciano, i social sono lo specchio riflesso di un racconto di orrore e addirittura sulla bacheca social di Zelensky abbiamo messo mi piace alla trasposizione mediatica del conflitto, degna delle migliori scenografie hollywoodiane. E infatti ci ha fatto paura come un film violento, ma non lo è. Quella strategia mediatica criticata e messa alla gogna non è altro però che, a sua volta, la trasfigurazione non soltanto della guerra ma anche della narrazione della stessa. Non seguiamo, forse, gli aggiornamenti della guerra in una narrazione cruda e spietata, a metà tra pornografia del dolore e paura, teatro e violenza?
Pornografia del dolore di una guerra che ci raccontiamo
Qual è lo storytelling di un conflitto bellico? Si può narrare qualcosa che va raccontato, senza spettacolizzare la tragedia? Nelle ultime settimane gli aggiornamenti della guerra in Ucraina hanno raccolto immagini da censurare, ma che mostravano chiaramente cadaveri alle spalle dei giornalisti, in un pacato collegamento che riporta i fatti. E i fatti sono che ci sono morti, più di quelli previsti, ma che riportarli a grande schermo non li rivendicherà affatto. Sapere che ci sono basta alla storia, senza doverli vedere. Nella pornografia del dolore si perde il diritto a non abituarci all’orrore. Avventarsi come avvoltoi nella parte cruenta della guerra non ne risolve gli stravolgimenti e se abbiamo diritto di sapere e dovere di informare non è zoomando sul bambino che muore che daremo dignità allo strazio, né rivendicheremo una pagina di storia. Si può scegliere di raccontare la guerra, scarnificandola agli occhi di chi vuole e deve sapere, ma non è ricorrere alla pornografia del dolore che si può fare una divulgazione giusta per tutti, nel rispetto di tutti.
Se “ci sono state molte vittime” è il dato da diffondere, lo si può fare anche a due metri più in là oltre i corpi morti alle proprie spalle. Perché il rispetto dell’informazione parte dal rispetto delle vittime. Sarebbe difficile, d’altronde, raccontarci la guerra reale in mezzo al dramma in diretta, nella compostezza di una visione cruenta. Questa è la guerra e queste sono immagini vere, ma qual è la linea sottile tra la tv verità e la pornografia del dolore? Qual è il peso della dignità umana e del rispetto della vittima nel sistema mediatico che ci racconta proprio questo? La difesa stessa della dignità umana e del rispetto delle vittime è la base di una divulgazione accurata, costante, aggiornata, ma siamo sicuri che lo stiamo facendo bene?