Dai racconti di un meccanico, Antonio Dentini detto Tonino, al regista. Matteo Rovere, dopo aver raccontato delle vite da Parioli, di rampolli di buona famiglia in “Un gioco da ragazze” e “Gli sfiorati“, riassapora le sue radici romagnole. Senza paura di sporcarsi le mani di terra, e trascinandosi nel mondo del motor sport. Dove il dialetto sanguigno, urla anche d’imprecazioni, sfrenato e stridente come le ruote in curva. Stasera in tv “Veloce come il vento“: la favola della vita del pilota di rally Carlo Capone.

La Turbo 16 no, tuo padre l’ha tenuta in vita per 25 anni. Bruciala pure se vuoi, ma la Turbo 16 a quel Minotti io non la lascio”. La mitica Pegeuot 205, tenuta intatta, dovrà affrontare il percorso dell’Italian Race. Una corsa illegale e pericolosa tra i sassi di Matera, con in palio un ricco premio, tanto da poter cancellare i suoi debiti e lo sfratto. In una cascina nella campagna dell’Emilia Romagna vive Giulia De Martino (Matilda De Angelis al suo esordio), una giovane promessa di gare automobilistiche. Sua madre se ne è andata di casa, e suo fratello maggiore Loris (Stefano Accorsi), leggenda dell’automobilismo, è diventato un tossicodipendente che abita una roulotte. Quando anche il padre di Giulia, che aveva scommesso su di lei come futura campionessa di Gran Turismo, non ci sarà più, sarà suo fratello a farle da spalla e maestro; ostinato e rabbioso, chiamato “il Ballerino” per la guida spericolata con la classe paterna ereditata per le quattro ruote.

Veloce come un’emozione

La terra, rossa bruciata, diventa polvere fino a stringerti la gola; le parole soffocate si fanno preghiera. “Nostro signore del sangue che corre nel buio delle vene, reggi il mio braccio sul volante, regola la forza dei miei piedi su acceleratore e freno, proteggimi, e fa che niente mi accada”. Questa la legge del rally. Dove non deve sorprendere, in un mondo di auto da corsa e fango, una donna strappare titoli al primato maschile. Forse l’unico ambiente dove non si notano diversità, e con un casco in testa sei pilota e basta. Non conta il sotto. Senza complimenti, o sconti per il pubblico femminile, ma con la stessa grinta, pronte ad insudiciarsi di grasso e olio.

Il sudore di questa gara, ricorda di più l’agonismo di “Rocky” o “Flashdance“, per l’aspirazione a raggiungere il sogno che da carica e spinta. “Veloce come il vento” stasera in tv, ha vinto nel 2016, 2 Nastri d’Argento, ottenuto 16 candidature e vinto 6 David di Donatello. Venduto in oltre 40 paesi in tutto il mondo. Le grazie di Matilda De Angelis coperte da una tuta che lascia intravedere ben poco. E un insolito Stefano Accorsi, smunto, capelli lunghi e arruffati, con la calata romagnola in ogni frase, quando l’abitudine ci porta ad immaginarlo rispondere finemente in francese alla Casta. Rozzo e barbone, è un pilota che non si lascia intimidire. Adrenalina consumata come benzina, nel film che farà respirare l’ansia da circuito. Che sfaterà la misteriosa attrazione di quelli che cercano le ali a bordo delle ruote. Sarà avvincente seguire un film che svela il magico ardore che muove certi pedali.

Cuore e asfalto

Prima di salire in macchina mio padre prega. Un po’ perché ha paura per me…un po’ perché teme che non corra abbastanza“. Lui ai box, lei a bordo di una Porsche. La scena del film è piena di suspense. La gara sta andando male, i sorpassi e le posizioni che scalano. E Loris, in uno slancio, afferra le cuffie e detta ogni accelerata e scalata da compiere, a sua sorella. Ma la storia è quella vera: il personaggio di Loris è interamente ispirato al pilota torinese di rally degli anni ottanta. Dalle coppe alle medaglie, dalla Ritmo alla Lancia Rally, fino la Peugeot 205 (ripresa da Rovere nel film), quando la scuderia Peugeot era guidata nel 1981 da Jean Todt. Il nostro pilota dopo i trionfi è finito a terra, incapace di riprendersi. La separazione dalla moglie e, la tragica scomparsa della figlia, lo fecero tornare a Gassino, paese nativo, in preda alla depressione. Vive in una casa di cura per patologie psichiche, ricordando a chi viene a trovarlo, di quando nessuno era più veloce di Carlo Capone. Neanche il vento.

Dovevano essere non solo dei campioni ma un po’ degli dei e le macchine non dovevano solo correre ma volare nei circuiti“. Dalle parole del suo meccanico Tonino. Caduta e rinascita, nella vita come in una competizione. Perdenti ma vincitori. “Veloce come il vento” suscita l’interesse anche di chi non è sportivo. Di chi non distingue una pista da bocce da una di go-car. Anche i rombi dei motori parlano modenese, e i sentimenti sembrano essere quelli genuini di paese. Di un racconto intorno al fuoco, che si fa leggenda al sapore di lambrusco. Una fiaba vera, in cui sull’onda del vento si può credere di arrivare in alto. “Se hai tutto sotto controllo significa che non stai andando veloce”. Tra l’illusione di spingere il cuore come l’acceleratore.

Federica De Candia per Metropolitan magazine