Finlandia e Svezia accelerano sull’adesione alla Nato, sulla spinta dell’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.

La premier finlandese Sanna Marin annuncia che chiederà l’ingresso del proprio Paese nella Nato. In tempi brevi. Poche settimane. Stessa cosa farà la svedese Magdalena Andersson. Due donne. Socialdemocratiche. Fino a pochi giorni fa simbolo di una rinascita della sinistra in Europa. Entrambe hanno il consenso dei rispettivi Parlamenti. Parlamenti da sempre devoti, fino a ieri, ad una sorta di religione della neutralità. Il braccio destro di Putin, Dmitry Medvedev, reagisce con minacciosa brutalità puntando l’indice contro Marin, Andersson e forse qualcun altro: «Dimenticatevi lo status denuclearizzato». Traduzione: siamo pronti ad attaccare anche voi; a portare la guerra anche in casa vostra.

La Svezia, che non confina con la Russia, è da due secoli un Paese che ha scelto la neutralità militare, anche se partecipa alle principali organizzazioni sovranazionali europee (compresa l’Unione Europea) e occidentali (a differenza della Svizzera, per esempio). L’ultima guerra cui Stoccolma ha preso parte attivamente è stata quella contro la Norvegia nel 1814, che portò a un’unione dei due Paesi guidata dalla Svezia. L’unione fu sciolta pacificamente nel 1905. La Finlandia, che condivide un confine di quasi 1.300 chilometri con la Russia, ha una dolorosa storia recente di conflitti con Mosca. La Finlandia è stata un granducato autonomo dell’Impero russo fino alla rivoluzione del 1917, per diventare una Repubblica al termine di una breve guerra civile. Nel periodo della Seconda guerra mondiale, Helsinki è stata coinvolta in tre conflitti: la guerra d’inverno (1939-1940) e la guerra di continuazione (1941-1944) contro l’Unione Sovietica, e la guerra di Lapponia (1944-1945) contro la Germania nazista. La Finlandia fu invasa dall’Urss nel 1939 e alla fine del conflitto mondiale rimase indipendente ma dovette cedere la Carelia a Mosca e subire forti limitazioni della sua autonomia, tra cui la neutralità imposta, secondo la formula detta della “finlandizzazione”.

L’Alleanza ha lo scopo di difesa reciproca. Alla sua nascita, era finalizzata a contenere la minaccia del blocco comunista sovietico. Nel tempo la sua azione si è estesa anche a situazioni di protezione di popolazioni sotto attacco, come nella ex Jugoslavia o in Libia. L’articolo 5 del Patto del Nord Atlantico prevede quanto segue: “Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale”.

Forse l’Europa non è così unita, Finlandia e Svezia verso la Nato

C’è un’Europa — oltre a Finlandia e Svezia, repubbliche baltiche, Norvegia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia — che assiste al martirio della costa del mare d’Azov nella crescente convinzione che il terrore inflitto dai russi non si fermerà alle frontiere ucraine. Guardano con apprensione, questi Paesi, anche a quel che si produce nel centro dell’Europa. Era parso agli inizi che i Paesi dell’Europa unita tenessero a mostrarsi all’altezza della situazione. Ora che non c’era da fare i conti con soldati inviati dall’America, avrebbero mostrato di cosa erano capaci

Si ha persino la percezione che il sostegno alla causa di Zelensky non sia più quello dell’inizio. La Germania litiga con Kiev per lo sgarbo subito dal presidente Steinmeier (considerato eccessivamente filorusso per essere ricevuto in pompa magna nel Paese a cui quei suoi ex amici infliggono lutti non di poco conto); Macron, dopo una serie di infruttuose telefonate con il capo del Cremlino, si occupa delle proprie elezioni; l’Italia dà mostra di sé come il Paese più permeabile (ampiamente permeato) da forme sofisticate di cultura tolstojana; la Spagna non è pervenuta. Gli unici che si sono fatti vivi con parole adeguate sono stati la Presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola (con un tempismo da statista), la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen (stavolta all’altezza del ruolo), Josep Borrell, Alto rappresentante per gli affari esteri, con parole a tal punto impegnative che gli sono state addirittura rinfacciate in molte capitali del continente.

Rinfacciate anche perché l’Europa centrale appare nel complesso rassegnata al sacrificio ucraino. Qualcuno auspica quasi apertamente che tutto avvenga in tempi brevi. Un sentimento che appare solo in parte ispirato a un senso di pietà per chi è destinato a soccombere. Molta attenzione dell’Europa che conta va legittimamente anche al prezzo del gas. Lo sdegno per quella che si configura come una serie interminabile di crimini di guerra appare in via di attenuazione. Talvolta ha un che di rituale. L’impegno a mandare armi in aiuto alla resistenza ucraina c’è ancora ma — forse anche per la diffusa considerazione del monito di papa Francesco — non sembra di assistere a una gara di velocità.

Forse era prevedibile che il primo Paese a reagire a questa gestione meno concitata del dossier ucraino, sarebbe stata la Finlandia.