L’attenzione di questi giorni si pone sulle parole dell’imprenditrice e stilista Elisabetta Franchi che con le sue dichiarazioni durante un’intervista organizzata da “Il Foglio” ha fatto ancora emergere le discriminazioni sul lavoro nei confronti delle donne. Infatti, nonostante ci siano leggi a tutela della maternità, i pregiudizi sull’incapacità di lavorare durante questi mesi non sembrano essersi attenuata. La domanda “Pensi di avere figli?” continua ad essere tra le prime poste alle donne durante i colloqui di lavoro.
La posizione di Elisabetta Franchi sulla maternità all’interno della sua azienda
Le parole di Elisabetta Franchi hanno fatto molto discutere, scatenando una forte polemica sui social, tanto da accusare l’imprenditrice di attuare politiche aziendali discriminatorie e patriarcali. Nel corso di un’intervista ha messo di assumere in posizioni di vertice solo donne che hanno superato i quarant’anni, in quanto si sono già sposate e hanno già avuto figli. Secondo la dichiarazione della stilista, infatti, assumere donne giovani, con in programma una gravidanza, potrebbe comportare il rischio che queste si assentino dal lavoro per un periodo di tempo prolungato e per questo motivo preferisce assumere figure maschili in posizioni dirigenziali.
La Franchi si affretta a precisare che l’80% delle sue dipendenti sono donne, di cui il 75% impiegate e il 5% manager. Le sue parole hanno posto l’attenzione su un problema ancora molto attivo nella nostra società, inserendosi in uno scenario in cui, secondo l’ultimo rapporto di Save the Children, il 42,6% delle donne con figli tra i 25 e i 54 anni non è occupata.
Quali sono le leggi che tutelano la maternità
Il Decreto Legislativo del 26 Marzo 2001, n. 151 così recita: “È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale, attuata attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, secondo quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 1 della legge 9 dicembre 1977, n. 903”.
Oltre al presente divieto di discriminazione, pone l’attenzione su come non esista solo il congedo obbligatorio di maternità, ma anche quello di paternità in sostituzione al primo. Si precisa inoltre come siano vietate discriminazioni di sesso “per quanto riguarda la retribuzione, la classificazione professionale, l’attribuzione di qualifiche e mansioni e la progressione nella carriera”, come previsto dalla Legge del 9 dicembre 1977, n. 903.
Martina Cordella