I Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea hanno la notte scorsa raggiunto l’accordo sul sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca, dando il via libera all’embargo al petrolio russo anche se con importanti deroghe. Il divieto d’importazione riguarderà infatti solo il greggio che arriva via mare.

Resta fuori dal bando l’oleodotto Druzhba, che rifornisce l’Ungheria, ma anche Germania e Polonia; mentre ha ottenuto una deroga di 18 mesi la Repubblica Ceca. Per tutti gli altri Stati membri invece il divieto sarà in vigore entro fine 2022.

Stop al petrolio russo, finanziamento della macchina da guerra di Putin

Esulta il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michael. “Il blocco permetterà di tagliare i 2/3 del petrolio importato dalla Russia” e, per la Presidente di Commissione Europea Ursula Von Der Leyen, “vieterà il 90% del greggio russo”.

L’auspicio è che entro l’anno l’unica deroga riguarderà Budapest, responsabile però dell’importazione solo del 7% del totale europeo. Von Der Leyen ha preso di parola Germania e Polonia, i quali hanno assicurato che entro l’anno faranno appunto a meno del petrolio russo, anche di quello che giunge tramite l’oleodotto. Lo scopo che si intende perseguire con questa misura, e nel quale difficilmente si fallirà, è quello di rendere estremamente difficoltosa “un’enorme parte del finanziamento della macchina da guerra di Putin che viene a mancare”.

L’esenzione dell’Ungheria dall’embargo

A festeggiare l’accordo è anche il Premier ungherese Viktor Orban che, nonostante l’UE, ha ottenuto ciò che aveva chiesto: essere esentati dall’accordo. L’Unione ha comunque insistito sulla “temporaneità” della deroga ed espresso, anche nelle conclusioni del vertice, la necessità di “tornare quanto prima” in Consiglio per superarla.

Il motivo che ha spinto all’approvazione della deroga è il dato dalla dipendenza di Budapest per almeno due terzi dal petrolio russo. L’UE ha quindi deciso che bloccherà il greggio trasportato via nave ma non quello che scorre nell’oleodotto Druzhba. Il 90% di questo combustibile viene esportato in Europa attraverso via marittima, e con quell’unico oleodotto solo il restante 10% che però serve il 65% del fabbisogno ungherese.

In ogni caso Orban mantiene la sua preoccupazione riguardo la situazione. Sono due i principali timori del Premier ungherese: il primo riguarda la paura che il Presidente russo Putin possa interpretare unilateralmente il sesto pacchetto di sanzioni e quindi decidere di interrompere le forniture per l’approvvigionamento energetico; in secondo luogo l’Ungheria teme che Kiev possa, volontariamente o no date le circostanze, colpire l’oleodotto che prima di entrare nel Paese attraversa quasi tutta l’Ucraina. Budapest continua quindi a chiedere rassicurazioni riguardo la possibilità non remota che una delle due ipotesi, se non entrambe, si realizzi. Dove e da chi potrebbe rifornirsi il Paese in una situazione del genere? L’Ungheria auspica dunque sulla base di questo quadro ad un serio impegno da parte degli alleati europei, ma anche degli USA, a tutelare il rifornimento della stessa quantità di petrolio. Terzo motivo di titubanza ungherese proverrebbe poi dal più volte reclamato sostegno economico di 2miliardi previsti dal “RepowerEu”, esborso frenato dalla stessa Presidente Von Der Leyen e ulteriore motivo di discordia all’interno dell’Unione.

Le perplessità sulle deroghe

Diversi sono i Paesi, Italia compresa, che hanno espresso forti perplessità riguardo la deroga e la possibilità che Germania e Polonia in particolare possano sfruttarla a loro vantaggio. I due Paesi si sono però impegnati a non usufruire del condotto russo, che termina però proprio nel territorio tedesco. Per raggiungere un accordo comune, il Consiglio ha quindi stabilito che “in caso di interruzioni improvvise della fornitura, saranno interrotte misure d’emergenza per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento”.

La posizione italiana a riguardo è stata ovviamente chiarita dal Premier Mario Draghi. “Dobbiamo mantenere unità nelle sanzioni. L’Italia è d’accordo sul pacchetto, purché non ci siano squilibri tra gli Stati membri”. L’impegno preso da Germania e Polonia è infatti politico e non giuridico, dunque non legalmente stringente e, per questo, motivo di incertezza riguardo la trasparenza anche della stessa Budapest, che potrebbe ritrovarsi in una condizione di eccesso delle forniture di petrolio e decidere quindi di rivendere l’esubero in una sorta di dumping commerciale che aggirerebbe così il senso delle sanzioni.

La comunità europea, volendo rassicurare i suoi membri sulla precarietà della posizione straordinaria di Budapest, ha sottolineato che il pacchetto delle sanzioni deve essere “finalizzato ed adottato senza indugio, garantendo un mercato unico dell’UE ben funzionante, una concorrenza leale, la solidarietà tre gli Stati membri e condizioni di parità anche per quanto riguarda l’eliminazione graduale della dipendenza dai combustibili fossili russi”.

Cos’altro prevede il sesto pacchetto di sanzioni

Se pur un passo decisivo verso l’indipendenza dalla Russia e uno tra i più pensanti provvedimenti contro Mosca, l’embargo al petrolio non è l’unica soluzione che si adotterà. Il sesto pacchetto di sanzioni prevede infatti anche l’esclusione dello Swift di Sberbank (la principale banca della Russia), l’inserimento nella blacklist di nuove personalità russe ed il bando tra nuovi emittenti.

Rimanendo in ambito finanziario, nel corso della riunione i leader europei hanno anche approvato il sostegno finanziario per fornire liquidità immediata all’Ucraina per un totale di 9miliardi di euro. La Commissione Europea si occuperà nei prossimi giorni della proposta legislativa, la quale chiarirà come sarà composta la cifra, quanto denaro arriverà in sovvenzioni e quanto invece in prestiti garantiti degli Statu UE.

Si è però manifestata, e continua ad essere pesantemente presente, una titubanza che preannuncia uno scontro tra gli Stati da non sottovalutare.

Ginevra Mattei