Cosa si intende per “redwashing“? In questi giorni il Partito Democratico è accusato di mettere in campo politiche di facciata tipiche del “lavaggio di faccia rossa”. Il redwashing, così come il greenwashing, il rainbowashing, il pinkwashing e svariate altre attività di lavaggio di immagine, è un fenomeno ascrivibile a una forma di propaganda che utilizza temi cari a un gruppo di persone per costruirsi una maschera o facciata.

Sono fin troppo noti i casi di brand che praticano greenwashing o pinkwashing in determinati momenti dell’anno. Per esempio nel mese di giugno, mese dell’orgoglio per la comunità LGBTQIA+, quando tutti o quasi i brand utilizzano bandiera arcobaleno, mettono in risalto loghi o la scritta “pride” (dall’inglese “orgoglio”) e simili. Un caso di greenwashing piuttosto noto è stato quello dell’ultima edizione del festival di Sanremo sponsorizzato da Eni. Il cantautore Cosmo lo denunciò cantando:Stop greenwashing!“.

Allo stesso modo il redwashing è una forma di propaganda che cerca di ripulire o creare una facciata di sensibilità su temi come l’uguaglianza sociale, la parità, la lotta alla povertà e alle discriminazioni tipica della politica dei partiti di sinistra.

Redwashing: che cos’è  

Quando un discorso è davvero di sinistra e quando un discorso è stato lavato con il rosso? Spesso è difficile distinguere il coerente operato di associazioni e partiti da quelli che praticano redwashing. Questo perché di atteggiamenti e discorsi redwashing è pieno il panorama politico. Ma che cos’è davvero il redwashing?

Con redwashing si intende una forma di pulizia della facciata di un partito, non per forza di sinistra. Può essere utilizzato come elemento discorsivo da un qualsiasi partito, specialmente durante il periodo elettorale, quando si fanno promesse ai diritti e alle opportunità. La prova di un discorso redwashing è dato dall’uso di alcune parole specifiche che nel contesto appaiono illuminate, ma nel concreto sono solo promesse vuote. Per esempio parlare di “diritti civili” – e in che modo se ne parla? – non basta per identificarsi come un partito di sinistra.

Al pari di greenwashing, pinkwashing e rainbowashing anche il redwashing è una pratica utilizzata dai brand (quindi anche dai partiti) per creare marketing sulle lotte politiche e accaparrarsi un determinato elettore. In altri casi si utilizza il termine redwashing per screditare partiti, associazioni e pratiche realmente inclusive e che lottano contrano le discriminazioni. Accusare di redwashing una realtà è un modo per allontanare un pubblico, un compratore o un elettore.

Perché si usano pratiche di lavaggio rosso?

Il redwashing è una pratica discorsiva che mira a ripulire o a far apparire l’immagine di un partito spostata a sinistra. Il rosso infatti si riferisce apertamente al colore con il quale si associa più frequentemente nel mondo la “sinistra”. Il redwashing si muove intorno ad alcuni assi principali, come per esempio la questione della disparità di genere, l’immigrazione e i diritti civili, ma spesso pecca in quei temi della sinistra storica, ovvero diritti dei lavoratori, proposte di modelli economici alternativi e giovani.

Berenice Bento, professoressa di sociologia presso l’Università federale di Rio Grande do Norte, scrive che “il discorso Red washing […] è una parte strutturante della sofisticate tentacolare necropolitica dello Stato”. Bento fa riferimento allo Stato di Israele e nel suo articolo pubblicato su Descato ne da una visione piuttosto realistica. Ragionando su che cosa significhi redwashing, la definizione della sociologa si adatta al panorama italiano. Di fronte a una politica di sinistra sempre meno “di sinistra”, a rimanere di sinistra è spesso solo il discorso di facciata sui temi dei diritti civili, dell’immigrazione, dell’ambiente, dei giovani e della disparità di genere.

Perché si sta parlando di redwashing ora?

In più di un’occasione la sinistra in Italia è stata accusata di parlare senza mai davvero operare un cambiamento. Verso le elezioni del 25 settembre 2022 ogni partito e coalizione sta portando avanti la propria campagna elettorale. Questo vale anche per il Partito Democratico, che in questi giorni sta rendendo note le candidature ai collegi uninominali.

Dalla lista è stata esclusa Giuditta Pini, che nel corso degli ultimi anni si è costruita un’immagine che per alcuni è riassumibile come “l’unica a sinistra nel Pd”. C’è però chi critica questa definizione per via del passato renziano di Giuditta Pini e delle sue votazioni (pubbliche) a decisioni poco di sinistra. Di aver sempre votato schierata e mai in contrapposizione al proprio partito, anche quando votava non “nella giusta direzione”.

Il problema del Partito democratico con il redwashing è reale?

Sia il Partito democratico che Giuditta Pini – nella sua comunicazione sui social – sono stati accusati di praticare redwashing. A questa critica ha risposto Maria Cafagna, consulente politica di Giuditta Pini. In un post sul suo profilo personale Cafagna scrive:

Se avessimo fatto #RedWashing, ovvero se fossimo state le ancelle che il leader di turno usa per dire “vedete, c’è lei, guardate che carina, è pure di sinistra, che brava mettiti qui a lato che facciamo una foto”, oggi avremmo il nostro bel posto in lista (e io il mio bel stipendiuccio). E invece abbiamo rotto il ca**o in tutte le sedi possibili per le cose in cui credevamo, a costo di scontentare chi non va MAI scontentato.

A questo punto Cafagna ha voluto ricordare qual è stato il lavoro fatto con Pini, come il congedo di paternità, la legge per il riconoscimento della vulvodinia, il diritto alla disconnessione, lo psicologo di base per tutti etc. Progetti più o meno riusciti, ma c’è chi fa notare che di tematiche di sinistra c’è ben poco in questa lista.

Giuditta Pini è solo l’ultima dei parlamentari accusata di redwashing. In generale la campagna elettorale in vista del 25 settembre 2022 si sta giocando sulla messa alla berlina dei politici, come nel caso del video di Giorgia Meloni che definì molti anni fa Mussolini un buon politico. Sarebbe da domandarsi cos’è oggi la sinistra in Italia e per gli italiani, ma questo è un altro racconto.

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Articolo di Giorgia Bonamoneta.