Giorgia Meloni è una donna, è una madre, è una cristiana ed è il presidente. La neo eletta presidente del Consiglio ha infatti scelto di essere chiamata “il presidente” e non “la presidente”. La questione non riguarda solo la grammatica e la concordanza tra genere e articolo. Come si legge sull’Accademia della Crusca “la lingua italiana consente, in questo caso, una soluzione semplice […] bastano infatti l’articolo (maschile o femminile) e l’eventuale accordo a definire il genere e la funzione “.
Grammaticalmente la forma corretta è il femminile, poiché accorda a Giorgia Meloni (afab, cioè femmina assegnata alla nascita) l’articolo femminile. La questione però è ben diversa e ha poco a che fare con la grammatica, quanto più con i ruoli di potere e la rappresentazione femminile.
È vero, ogni persona ha il diritto ad autodeterminarsi e identificarsi con il genere che lə rappresenta, ma questo non è il caso specifico di Giorgia Meloni. Come prima presidente donna della storia della Repubblica italiana Meloni aveva la responsabilità di rappresentare le donne nei ruoli di potere, una rarità alla quale come società dobbiamo ancora abituarci.
Il presidente o la presidente: Meloni non ha dubbi, la grammatica sì
Alcuni mesi fa su Money.it rispondevo al dubbio sull’uso di “la presidente o la presidentessa”. Spiegavo che presidente è la persona che presiede, che sia essa uomo o donna. La differenza veniva data dall’uso dell’articolo. Questo perché si usa presidente con il suffisso zero, cioè in assenza del -essa. La forma presidentessa, per usare le parole della Treccani, è ormai usata quasi esclusivamente per indicare in tono scherzoso la moglie di un presidente.
È molto comune per i nomi professionali femminili utilizzare il suffisso -essa, ma è un utilizzo delle grammatiche ottocentesche. “A partire dal 900 i movimenti femminili hanno rivendicato alle donne il diritto di esercitare certi ruoli professionali con piena parità giuridica ed economica”, scrive l’Accademia della Crusca. Un limite sociale e culturale che le parole incarnano. Uno strumento per abbattere questi ostacoli è anche l’utilizzo di un linguaggio più ampio e inclusivo. In questo senso il linguaggio è politico.
La grammatica, la storia, la battaglia inutile: il depotenziamento delle professioni femminili di potere
Giorgia meloni non ha dubbi e ha scelto per sé di farsi chiamare il presidente, contravvenendo a regole grammaticali in nome del potere che il genere maschile ingloba. Un commento classico che si riceve in questi contesti è:
Declinare al femminile accentua di più le differenze (è quasi sessista) e crea più discriminazione che seguire la lingua italiana o le antiche usanze storiche.
Ma quale storia e antiche usanze? L’introduzione dei femminili professionali non è frutto di un complotto o dei poteri forti e non è il segno della decadenza della lingua italiana. Come scrive Vera Gheno nelle pagine di Femminili singolari si tratta della conseguenza della comparsa di sindache, ministre, assessore e di presidenti donna. I nuovi femminili non sono neologismi, sono forme previste dal sistema dell’italiano rimaste dormienti perché non servivano, non c’era nessuna a indossare quei ruoli.
Proprio perché le figure femminili si stanno affermando nei ruoli di potere è fuorviante parlare di “usanze storiche”. Non stiamo vivendo un momento storico anche ora? Se non è ideologico parlare di infermiere e maestre, perché la presidente o la sindaca lo sono? La presunta “purezza della lingua italiana” non esiste, la lingua la fanno i parlanti.
Questione di potere e rappresentazione
Sembra quasi una guerra del linguaggio: da una parte della barricata la visione patriarcale, dall’altra parte le rivendicazioni di un linguaggio femminista. È una questione di potere, perché non risulta strano o cacofonico utilizzare termini come operaia, contadina o maestra; d’altra parte risulta assurdo o “una battaglia inutile” utilizzare termini come avvocata, senatrice, ministra o la presidente. La realtà dei fatti è che scrivere “il presidente meloni” genererà dubbi sul genere della persona che riveste la carica.
Qual è il senso di essere la prima donna che ricoprire una carica politica di tale rilievo e poi identificarsi a livello ufficiale comunque come “il presidente”? La scelta di utilizzare il presidente depotenzia prima di tutto la presenza stessa di Giorgia Meloni alla carica di presidente del consiglio.
Ci sono donne che credono sia svilente declinare al femminile le professioni che sono storicamente al maschile. Si parla di antipatia e intolleranza per il genere femminile grammaticale, o del fatto che ci siano problemi più gravi di stare a pensare a il/la presidente. È vero ci sono problemi più gravi, ma non usiamola come scusa per non parlarne.
Quella dei femminili professionali non è una guerra con vincitori e vinti, perché la lingua non è gerarchica e a farla sono i parlanti. Giorgia Meloni può avere anche scelto il presidente per gli atti ufficiali, ma lei grammaticalmente e per la posizione che occupa come donna sarà sempre e comunque la presidente.
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Articolo di Giorgia Bonamoneta.