In Homecoming ritroviamo uno Spider-Man che ricomincia dalle origini, ovvero un Peter Parker adolescente, introverso e impacciato che deve imparare a condividere e prendere pienamente possesso dei suoi poteri. Il chè è tutto molto difficile se, alle responsabilità che può avere un supereroe, ci aggiungiamo anche tutti i problemi legati ad un ragazzino quindicenne.

Uscito ieri nelle sale italiane, Spider-Man: Homecoming, segna il ritorno sul grande schermo dell’Uomo Ragno, con un film tutto suo.
Se in molti iniziano a pensare allo Spider-Man cinematografico, subito vi salterà alla mente la trilogia di Sam Raimi che vedeva come protagonista Tobey Maguire nei panni del tessiragnatele , alle prese contro nemici del calibro del Green Goblin, o il Dottor Octopus; oppure, anche  all’omerica e tormentata storia d’amore con la bellissima Mary Jane Watson, interpretata da Kirsten Dust. Se invece, siete più giovani, penserete subito alla meno fortunata avventura di Andrew Garfield nei panni del nostro amichevole Spider-Man di quartiere.
Quelli della vecchia scuola invece, e anche i “fan da fumetto”, sentendo il nome di Spider-Man avranno evocata l’immagine di un Peter Parker giovane, inesperto, impacciato, timido e soprattutto nerd; che ottiene un superpotere per puro caso affibbiandosi responsabilità ben più grandi di lui, mentre cerca di far convivere la sua nuova vita da supereroe con quella vecchia, noiosa e monotona tra i banchi di scuola.
Per essere un supereroe da liceo, lo Spider-Man cinematografico ha sempre trattato poco questa parte, molto fondamentale, della vita di Peter Parker. Ma ora vi chiederete, perchè stiamo parlando di film usciti quasi 20 anni fa? Perchè cari miei, la storia si sta ripetendo e Spider-Man, con questo nuovo film, ritorna in sala per la prima volta legato al Marvel Cinematic Universe e quindi le cose devono per forza essere fatte per bene!
Con il (homecoming) ritorno a casa dell’Uomo Ragno, e queste splendide note messe in fila con cosi tanto gusto e maestria dichiarano apertamente le intenzioni dei Marvel Studios: Spider-Man: Homecoming vuole essere un film unico, una storia mai raccontata prima, capace di divertire, appassionare, emozionare. C’è tutto in queste note: l’epicità, la freschezza giovanile, la coerenza storica di un personaggio che finalmente torna a casa per stupire, per prender davvero parte a quell’enorme progetto che è il MCU.

Il cattivo di questa nuova (in tutti i sensi) avventura dell’Uomo Ragno è Adrian Toomes, l’Avvoltoio, interpretato da Michael Keaton, un impiegato di una ditta edile che si occupa di ripulire le zone distrutte dalle battaglie dei Vendicatori che, per una serie di motivi perderà il lavoro a causa del Damage Control, un ente governativo. La rabbia e il risentimento nei confronti di una società troppo occupata a pensare agli Avengers, anzichè ai cittadini comuni, lo porterà a diventare l’Avvoltoio.
Carismatico e ben caratterizzato in tutte le sfaccettature che un personaggio può avere, l’Avvoltoio di Keaton ha un ruolo principale nel film, che aiuterà molto la crescita del nostro arrampicamuri.
Il film, inizia subito con un vlog di Peter Parker dedicato al suo viaggio a Berlino, e capiamo subito che il ragazzo non è pronto per prendersi la responsabilità degli Avengers. La pellicola verterà tutto su questo, sulla convivenza di Peter e Spider-Man, sulla presa di coscienza di un ragazzo dotato di grandi poteri e che dovrà crescere per diventare chi è destinato ad essere.

In tutto questo, anche il ruolo di Tony Stark ed il rapporto mentore/allievo sarà più che principale. Infatti, il “mentore” di Peter, e il giudice più severo tra gli Avengers, farà crescere e maturare il giovane Peter. Tony Stark prima dona il costume hi-tech a Peter, e poi glielo sottrae, a causa della superficialità e dell’immaturità del nostro Spidey, spiegandogli che “se senza il costume non sei nulla, non meriti di averlo”. Facendo così tornare Peter coi piedi per terra, e reindossando il costume originale, quello homemade, il tessiragnatele inizierà a maturare ed a crescere. Homecoming è quindi un continuo esame, un continuo mettersi alla prova per Peter, che gli permetterà, una volta promosso, di entrare nel gruppo degli adulti, e di passare dalla panchina al campo di gioco al fianco degli adulti. L’uomo dietro alla maschera è fondamentale, più importante dell’Arrampicamuri. Quando Peter lo capirà, e riuscirà a diventare una persona sola, piuttosto che due individualità separate, allora Spider-Man potrà davvero compiere il suo destino.

La decostruzione del personaggio è vincete: spogliare Peter del suo costume e riportarlo alle origini gli farà capire cosa è capace di fare, complice anche una situazione “dentro o fuori” scatenata dal terribile Toomes che lo obbligherà a diventare adulto in pochi minuti. In questo Homecoming Spider-Man è totalmente nuovo, rinato, perfetto: la capacità del team creativo dietro i Marvel Studios è stata quella di raccogliere l’essenza del personaggio in poco più di due ore, riuscendo a raccontarci praticamente tutto quello che dovevamo sapere del giovane Peter Parker.

Il finale del film è tra i più giusti visti in Spider-Man. Non è spietato, rude e drammatico come quelli visti nella trilogia di Raimi, in seguito copiato dai due capitoli di The Amazing Spider-Man, ma, come già detto è un qualcosa che si avvicina e si addice alle scelte che fa lo Spider-Man del fumetto.

In sostanza, Spider-Man: Homecoming è esattamente quello che doveva essere: una storia semplice, che racconta in modo unico un personaggio ancor più unico, ma con una semplicità unica e senza precedenti. Tom Holland è la star assoluta di un cinefumetto che rasenta la perfezione, senza neanche la presenza assillante di Iron Man, grazie anche ad una sceneggiatura curata, che esalta protagonista e villain, e una regia precisa, senza clamorosi meriti ma capace talvolta di creare sequenze davvero appassionanti. Ritroveremo Peter Parker nel film corale degli Avengers, ma la voglia di vedere il sequel di questo Homecoming è davvero tanta: bentornato a casa, Uomo Ragno.

Raffaello Caruso