L’edizione 2022 del Tour de France è stata davvero ricca di emozioni. Stiamo parlando del Tour de France, che è stato teatro di tantissimi colpi di scena che ha lasciato spiazzato anche chi è abituato ad azzeccare spesso e volentieri i pronostici, secondo Ilverogladiatore.it.
Come si può facilmente intuire, in un Tour dove tutti attendevano la zampata vincente di Pogacar, è arrivato un danese a prendere lo scettro in giallo. Vingegaard, nato nei pressi del mare, che diventa dominatore sulle montagne più belle della corsa in giallo. Una storia decisamente affascinante, per un ragazzo danese che era già stato in grado di sfiorare il colpo grosso al Tour dello scorso anno, cogliendo un secondo posto di tutto rispetto.
La sfida al Tour de France 2021
Se la sfida al Tour de France di quest’anno ha sorriso a Vingegaard, è vero che il corridore danese è arrivato molto più sicuro dei propri mezzi. Consapevole di avere le carte in regola per poter mettere in difficoltà qualsiasi avversario. Tornando al 2021, il duello tra Pogacar e il danese si era già manifestato.
Ad esempio, nel corso della doppia scalata al Mont Ventoux, Vingegaard era stato in grado di staccare il suo rivale, mettendo in evidenza finalmente un primo cedimento in quello che appariva come un campione letteralmente imbattibile. In realtà, molto probabilmente, si trattava semplicemente di un segnale. Ovvero, il punto debole di Pogacar è rappresentato proprio da quelle salite piuttosto lunghe e regolari, in cui si arriva anche ad altitudini particolarmente elevate, come ad esempio su cime intorno ai 2000 metri.
Vingegaard ha messo in evidenza, nel Tour dell’anno scorso, che differenza intercorre tra andare effettivamente forte in salita e farlo in montagna. Pogacar sembra impossibile da battere sulle salite a bassa quota e anche non eccessivamente lunghe, mentre quando la quota comincia a salire e la lunghezza del percorso aumenta di conseguenza, ecco che emergono diverse crepe.
La tappa del Galibier di quest’anno
Una delle tappe che hanno svelato tutta la condizione impressionante e le capacità in montagna di Vingegaard è stata senz’altro quella del Galibier. Si è trattato della prima reale tappa di montagna in questo Tour de France. Roglic e Vingegaard, i due alfieri della Jumbo, decidono di attaccare sul Col du Telegraphe, per poi suonare nuovamente la carica in discesa. Alla fine, restano in quattro, i due della Jumbo, Pogacar, che era ancora in maglia gialla e il sempreverde Geraint Thomas. La tattica della Jumbo è perfetta: Roglic e Vingegaard attaccano in maniera alternata Pogacar, con la maglia gialla che sceglie di seguire ciascuno scatto, evitando che anche solo uno dei due possa fare il vuoto.
Probabilmente, è stata una mossa decisamente azzardata, legata al fatto che lo sloveno avvertiva sensazioni così positive in bici da sentirsi praticamente imbattibile e in grado di rispondere allo scatto di ogni avversario. Un comportamento che l’ha penalizzato e gli ha presentato il conto, anche perché Pogacar non sapeva delle condizioni fisiche precarie di Roglic. La tattica della Jumbo, invece, è stata perfetta, giocando un bluff e una trappola in cui lo sloveno ci è cascato completamente, facendo credere che entrambi i suoi atleti fossero in un ottimo stato di forma, quando invece era solo questione di tempo prima di vedere Roglic staccarsi in salita.
Non solo, dal momento che l’attacco doppio e simultaneo è avvenuto in un tratto di salita in cui è molto conveniente rimanere a ruota, anche dal punto di vista aerodinamico. Quindi, se Vingegaard attaccava Pogacar, Roglic rimane a ruota dello sloveno e altrimenti il contrario. La parte di fondovalle in falsopiano, infatti, è stata perfetta per attuare una simile strategia, portando in realtà la maglia gialla ad esaurire molte più energie rispetto a quelle che hanno speso i due ciclisti della Jumbo, visto che entrambi, seppur alternativamente, si riposavano stando a ruota di Pogacar.
Lo sloveno ha commesso l’errore di sentirsi invincibile, mentre sul Galibier Vingegaard è stato spesso a ruota, risparmiando energie molto preziose, sfruttando il lavoro del suo grande rivale. E proprio ai piedi del Col du Granon, ecco che si avvicina il duello finale. Eppure, lo sloveno, man mano che passano i metri, sente le gambe sempre più dure, con le energie che tanto gli avevano consentito di rintuzzare gli attacchi degli avversari in precedenza, ora si stanno dissipando completamente.
Vingegaard è partito sulla salita finale quando mancavano ancora diversi chilometri al traguardo. Pogacar non è in grado di restare a ruota del danese, ma anche di altri avversari, che lo vedono sfilare sulla destra. Per la prima volta in carriera, probabilmente, Pogacar ha una simile crisi. Se da un punto di vista fisico in realtà non ne ha risentito così tanto, è vero invece che si è trattato di una crisi più che altro dal punto di vista psicologico. Anche per via del fatto che, solamente ventiquattro ore dopo, lo sloveno andava a vincere sull’Alpe d’Huez e lottava ad armi pari con il suo collega danese.