Il brand activism è la chiara volontà da parte dell’azienda di assumersi responsabilità in ambito sociale e di partecipare al raggiungimento del bene comune. Queste parole incorniciano il pensiero di Philip Kotler, importante guru del management e quello di Christian Sarkar, attivista ed imprenditore nonché cofondatore del “The Marketing Journal”.

Il loro manuale, “Brand Activism. Dal purpose all’azione”, rappresenta uno dei volumi più completi ed esaustivi sul tema, proponendo nuovi scenari e nuove opportunità di crescita.

Ma il business può essere un reale motore di cambiamento?

È ormai molto frequente osservare lo sviluppo di aziende che oltre a promuovere i propri prodotti, si fanno portatori di valori etici specifici.

Ovviamente, questo scarto valoriale può avvenire in modi differenti. In primo luogo, si assiste infatti ad una scelta cruciale: essere polarizzanti o convergenti?

La polarizzazione rappresenta una tendenza a comunicare determinate tematiche presenti in agenda, produrre contenuti dedicati alla fruizione di un pubblico particolarmente targhettizzato e aggregare persone online ed offline.

Nel caso contrario, ossia in presenza di una forte convergenza, assistiamo invece ad un altro problema sistemico: l’impermeabilità dei contenuti. Comunicare messaggi con un contenuto non chiaramente individuabile, può non rendere fruibile la recezione del purpose all’utente finale.

Attraverso i social media si parla di un’estrema polarizzazione che contribuisce a separare la società. Ma se separare la società significa incentivare marchi di abbigliamento che fanno causa a Trump per il boicottaggio dei parchi naturali, forse siamo esattamente sulla strada da percorrere.

Il rischio però rimane: si chiama infatti washing.

Questa pratica riguarda manifestazioni pubbliche che rendono esteriormente un’azienda socialmente più responsabile di quanto non sia. Un esempio nostrano frequentemente riproposto è quello di ENI, azienda leader nel settore gas e luce, che da anni cerca di cambiare la sua immagine tramite pratiche di green washing.

Tale problematica risulta centrale quando si parla di brand activism, ma può allo stesso tempo rivelarsi facile da verificare. Diversi studi hanno infatti dimostrato come non sia particolarmente difficoltoso svelare i brand che portano avanti tale tipo di pratica.

Insomma, un occhio attento e una buona informazione possono fare davvero la differenza per promuovere temi ormai imprescindibili.