Il Consiglio dei Ministri ha approvato la missione militare di supporto alla guardia costiera libica per contrastare i trafficanti di esseri umani.
Così come era stato richiesto tre giorni fa dal premier di unità nazionale Fayez al Serraj, in visita a Roma dopo un vertice a Parigi fortemente voluto da Emmanuel Macron, la missione ha avuto il via libera da parte del governo italiano. L’entità dell’aiuto fornito sarà comunque limitato: si parla di 4 / 5 navi, altrettanti aerei, droni (non si sa ancora quanti), forse un sottomarino e circa 700 soldati.
Il provvedimento arriverà in Parlamento martedì prossimo, ma al Ministero della Difesa si sta ancora lavorando su alcuni importanti passaggi, tra cui le regole d’ingaggio, le misure di tutela dei militari imbarcati, la catena di comando della nuova missione (ovvero a chi risponderanno in ultima istanza le navi) e il trattamento da riservare ai migranti respinti.
La missione in fase di approntamento è un «passo in avanti nel contributo italiano alla capacità delle autorità libiche di condurre la loro iniziativa contro gli scafisti e di rafforzare la loro capacità di controllo delle frontiere e del territorio nazionale. È un pezzo di percorso della stabilizzazione della Libia a cui l’Italia sente il dovere di parteciparvi», così ha dichiarato il premier Paolo Gentiloni.
Tuttavia, allargando lo sguardo anche al vertice tenutosi in Francia per raggiungere un cessate-il-fuoco tra Serraj e Haftar (che controlla la parte orientale del Paese), è facile intuire come la stabilizzazione della Libia sia ancora molto lontana.
Come puntualmente scritto sul Sole 24 Ore di ieri, è difficile pensare di riuscire a raggiungere una stabilizzazione della Libia quando mancano al tavolo delle trattative le milizie armate che controllano ancora importanti porzioni del paese. Così come è difficile pensare che le potenze regionali (prima tra tutte l’Egitto di Al-Sisi) rinunceranno a sostenere l’uno o l’altro leader ed i propri interessi in nome della riunificazione e pacificazione della Libia.
Ma il problema vero della Libia, che indebolisce anche le posizioni diplomatiche occidentali, è la mancanza di forza di Serraj. Non è un mistero che la situazione a Tripoli sia nel caos, con alcuni quartieri in mano a bande armate, mentre la crisi economica, la mancanza di servizi pubblici essenziali e la svalutazione della moneta hanno fatto salire il malcontento verso Serraj.
Inoltre, Serraj non dispone neanche di un vero e proprio esercito. A combattere per lui vi sono le milizie di Misurata, nemiche giurate di Haftar, su cui Serraj non ha alcuna influenza. Nel caso in cui – con nuove elezioni o con un colpo di stato – Haftar prendesse il potere in Libia, una nuova guerra civile scoppierebbe all’istante.
Inoltre, un ultimo dettaglio: Haftar controlla di fatto i terminal petroliferi di Brega, Bengasi, Sidra e Ras Lanuf, da cui viene esportato oltre il 50% del petrolio libico (unica fonte di ricchezza attualmente per il paese). Un ulteriore strumento di pressione sul Governo di Serraj, pronto ad essere usato al momento opportuno.
In questo caos andrà ad inserirsi la missione militare italiana. Viene da chiedersi come la prenderanno Haftar e le altre milizie della costa.
Lorenzo Spizzirri