Sono passati 10 anni dalla triste scomparsa del cantautore milanese Enzo Jannacci. Uno dei principali protagonisti della scena musicale italiana; un uomo di grande sensibilità. Dietro alla comicità che esprimeva nella propria arte, infatti, si celava un abile medico chirurgo, che mai aveva rinunciato alla professione, svolta dapprima al Policlinico di Milano, quindi all’Ospedale Sacco. A dieci anni dalla sua scomparsa desideriamo ricordarlo come artista e come persona attraverso le sue più belle canzoni.

10 anni fa ci lasciava Enzo Jannacci

Enzo Jannacci ci manca. Sono passati 10 anni dalla sua scomparsa, ma sembra ieri. Le sue canzoni sono sempre attuali e tutto il mondo dell’arte lo celebra in questa nefasta ricorrenza. Per questo decennale sono in programma un libro, un vinile con inediti, uno spettacolo teatrale e un docufilm: tante le iniziative volute fortemente dal figlio Paolo Jannacci, per ricordare il padre Enzo.

Giovanni, telegrafista

Giovanni, telegrafista è la traduzione della poesia João, o telegrafista, scritta alla fine degli anni quaranta dal poeta Cassiano Ricardo, che Jannacci aveva trovato in un’antologia di poeti brasiliani curata da Ruggero Jacobbi, dopodiché la tradusse in italiano e la musicò. Il protagonista è un impiegato addetto al telegrafo di una piccola stazione ferroviaria. L’impiegato ha l’ambizione di iniziare una relazione amorosa con Alba, una bella ragazza che Giovanni vede spesso nella sua stazione. D’improvviso Alba non si vede più alla stazione, così il povero impiegato cade in uno stato di malinconica angoscia. Il telegrafista legge tanti messaggi, contenenti notizie dei più disparati argomenti, finché casualmente apprende del «matrimonio di Alba con un altro». Jannacci aggiunse un motivo assillante e monotono, quel «píri-pirí-pirí-pirí-ppíppi» del telegrafo, che trasformava il codice morse nell’equivalente sonoro della monomania amorosa. Il brano sta in equilibrio tra il patetico e il comico, fino al finale ‘drammatico’.

L’Armando

Stessa strada, stessa osteria, stessa donna, una sola: la mia”. Grandissima dall’inizio alla fine, questa canzone ci ha regalato la frase “che si è aperta la portiera, è caduto giù l’Armando”. In realtà, l’Armando, protagonista di questa storia, non sembra essere caduto proprio da solo, e gli indizi raccolti dalla polizia inducono al sospetto nei confronti del narratore. Quest’ultimo si scagiona con un proverbiale argomento: “Io c’ho l’alibi, a quell’ora sono quasi sempre via”.

Se me lo dicevi prima

Canzone scritta da Maurizio Bassi e Enzo Jannacci. Il brano fu presentato al Festival di Sanremo del 1989, ottenne il secondo posto al Premio della Critica e si classificò 17º assoluto. Jannacci, già nel brano del 1981 Cosa importa, aveva accennato al tema della droga, che cominciava a dilagare per la città di Milano. In questo caso il brano parla della tossicodipendenza, ed il suo discorso tende a dissuadere dall’uso di tali sostanze. In seguito questo discorso si trasformò in un personalissimo sistema di disintossicazione con cui Jannacci riuscì a salvare dal tunnel della droga 70 ragazzi.

Faceva il palo

Il palo è colui che sta di guardia mentre i complici compiono un furto, una rapina o altra azione delittuosa. Ma il palo di Jannacci è una figura inimmaginabile e stupenda: non ci vede. Arrivano i carabinieri e lui, naturalmente, non se ne accorge e quelli arrestano tutti quanti. “Ed è lì ancora come un palo nella via, la gente passa, gli dà cento lire e poi, poi se ne va. Lui circospetto guarda in giro e mette via, ma poi borbotta perché ormai l’è un po’ arrabbià. Ed è arrabbiato con la banda dell’Ortica, perché lui dice «non si fa così a rubar!»”. L’Ortica è un quartiere di Milano.

Mario

Mario è un adorabile personaggio che ricorda un po’ i protagonisti delle canzoni di Francesco Guccini. Questa canzone lo mette di fronte ai suoi pensieri, a quello che è stata la sua vita, e al mondo intorno a lui. “Mario, io ti vedo alle sei di mattina girare, te e la tua bicicletta. Mario, due speranze nel cuore: un po’ di giardino e un sogno, la tua casetta. Alla sera ti fermi nel bar qui vicino, giusto per bere un bicchiere. E nel bianco degli occhi, nel rosso del vino, muoiono le sere”. A chiudere ua trovata alla Jannacci: “Mario, non ti resta che ascoltare l’eco che hanno messo nel finale-e-e.”

La fotografia

Uno dei brani più belli e struggenti di tutta la discografia del cantautore milanese. La fotografia è quella del figlio morto a cui hanno sparato per strada: “Guarda la fotografia, sembra neanche un ragazzino”. Il brano fu presentato al Festival di Sanremo insieme ad Ute Lemper. Esibizione bellissima che fa commuovere. “Tutto il resto è facce false della pubbliciteria, tutto il resto è brutta musica fatta solamente con la batteria, tutto il resto è sporca guerra stile, stile mafieria”.

Quelli che…

Questa canzone, resa famosa dalla trasmissione Quelli che il calcio, può essere considerata uno dei principali trattati di antropologia nazionale mai scritti. Fonte di almeno una decina di tormentoni e modi di dire entrati eternamente nell’uso comune come “quelli che l’ha detto il telegiornale, quelli che con una bella dormita passa tutto, anche il cancro…”. Un capolavoro jazz.

El purtava i scarp del tennis

Un’atra grande canzone di Enzo Jannacci. Scritta in collaborazione con Dario Fo nel 1964, è in dialetto milanese. Tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro classe sociale ed economica, quando sono onesti e corretti, meritano di essere trattati con la giusta dignità. Jannacci aveva focalizzato la sua attività musicale in questa direzione. Jannacci ha ridato dignità a tutti coloro che, nonostante dalla vita avessero preso solo calci in faccia, erano rimasti puro ed innocenti.

Vengo anch’io? No, tu no!

Il protagonista del brano è un uomo che viene respinto a priori da ogni evento, anche se solo ipotizzato. Nonostante il tono apparentemente umoristico, la tematica di fondo è un po’ più complessa. Infatti parla di molte persone che vivono ai margini della società, che sono escluse e non possono partecipare a molti avvenimenti.

Vincenzina e la fabbrica

Chiudiamo questa kermesse di brani con Vincenzina e la fabbrica, che descrive il rapporto degli operai con il mondo della fabbrica, appunto, attraverso il ritratto di una ragazza emigrata dal sud intenta ad affrontare la realtà industriale. Fu composta per la colonna sonora del film Romanzo popolare del 1974 di Mario Monicelli, nel quale si ascolta cantata dallo stesso autore.

Alessandro Carugini

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