Quest’anno, grazie a Lucky Red, tornano in sala i primi due capitoli di una delle più importanti saghe della storia del cinema. Alien, del 1979 di Ridley Scott e Aliens – scontro finale del 1986 di James Cameron. In realtà, l’Alien Day ricorre ogni anno il 26 aprile. E questa data ha un significato ben preciso. Fa riferimento al nome che, nel primo capitolo, viene dato alla luna su cui l’equipaggio scopre gli xenomorfi: LV-426. Per tre giorni, 29,30 e 31 maggio, la saga torna al cinema. Ed è un’occasione perfetta per (ri)scoprire una delle saghe più amate del mondo cinematografico. Ma perché Alien è così importante e così fondativo per la fantascienza successiva? Da dove deriva la sua struttura e la sua forma? E qual è il suo organismo implicito che si nasconde dietro una storia semplice ed una messa in scena mostruosa?
Alien di Ridley Scott: si torna al cinema
Dopo il successo a Cannes con I Duellanti nel 1977, venne proposta a Ridley Scott la regia di una sceneggiatura partorita dalle menti di Dan O’Bannon e Ronald Shuset, Alien. O’Bannon riesce a farsi produrre il film dalla 20th Century Fox, insicura sulla riuscita del film, ma che si convinse grazie al successo di Star Wars nel 1977. Inizia così la produzione di uno dei più importanti film della storia del cinema che ha per sempre cambiato l’idea di fantascienza cinematografica. A partire dal cambio di rotta nei confronti dello spazio stesso. quello di Alien è uno spazio sporco, sudicio, fatto di motori e macchine scavatrici. Sia inteso come spazio profondo, universale, sia come spazio filmico. Alien è claustrofobico, chiuso, costringe lo spettatore come costringe i personaggi nei corridoi della Nostromo. Si discosta e allontana da un concetto spaziale più “colorato” che Star Wars aveva portato sul grande schermo negli anni precedenti. Lo accartoccia e lo getta tra le fiamme e i carboni di rivoluzione industriale 3.0, in cui l’universo profondo è ormai come la terra stessa. Ponendosi, oltretutto, come figura cardine di una condizione postmoderna cinematografica. La contaminazione di genere tipica del postmoderno in Alien è evidente: è cinema inscrivibile nella fantascienza e nell’horror con un genere che contamina l’altro in uno scambio costante. E ancora la continua ibridazione postmodernista nella creatura di Ridley Scott assume le forme di unione tra organico e inorganico, tra liquido e metallo e tra uomo e xenomorfo. E lo sguardo passato di Alien è rintracciabile soprattutto in un cinema horror anni Cinquanta e Sessanta. Film come Il pianeta proibito di Fred Wilcox del 1956 o Il mostro della laguna nera di Jack Arnold del ’54, sono d’ispirazione evidente. Ma anche il nostro Mario Bava, di cui è palese il rimando a Il pianeta dei vampiri del ’65. Il mistero e il terrore sono costruiti in modo quasi Lovecraftiano ed è evidente la somiglianza con altri Horror Slasher come Halloween di Carpenter o Non aprite quella porta di Tobe Hooper, o con il body horror di Cronenberg.
Quello che più colpisce di Alien, però, è la grandezza con cui nasconde i suoi sottotesti al pubblico. Dietro un horror spaziale in cui un equipaggio cerca di sfuggire ad un alieno distruttivo e divoratore, è nascosta una narrazione che parla di ribaltamento delle convenzioni e dei ruoli sociali, di Freud e Lacan, di stupro, di non consensualità e soprattutto, di disagio sessuale maschile. È una costante apparizione di immagine falliche e sessuali. A partire dallo xenomorfo stesso, la sua forma e il suo modo di divorare i membri dell’equipaggio. Passando poi per la scena dell’uscita dell’alieno dal pettorale, chiaro riferimento al parto. Così come, sotto ammissione dello stesso O’Bannon, il facehugger che attacca Kane è una metafora per la paura della penetrazione e allegoria di uno stupro maschile. Il ribaltamento delle convenzioni sociali del cinema precedente è palese: non è un caso che siano gli uomini a subire le sorti peggiori e che a sopravvivere sia una donna, Ripley, che in una stoica figura androgina affronta lo spettro metaforico dello xenomorfo. Ridley Scott gira un film dalle tinte quasi kubrikiane. Il piano sequenza iniziale è di ispirazione palese a 2001: Odissea nello spazio del ’68. La camera viaggia all’interno dei corridoi asettici e claustrofobici della Nostromo, creando tensione e ansia nello spettatore, fino ad arrivare a quella meravigliosa inquadratura delle camere del sonno che si aprono per svelare l’equipaggio. Tutta la struttura registica del film è meravigliosa: i lenti piani sequenza, i carrelli a seguire e ad allontanarsi, tutta la lentezza dello sguardo nella prima parte e tutto il taglio a metà tra slasher, gotico e ipermoderno della seconda. Risulta, ancora oggi, un film avanguardistico per certi versi e totalmente oltre i suoi tempi. E solamente la mano di un poeta della settima arte poteva rendere un soggetto del genere un film indimenticabile. Insomma, gli sforzi e le idee di O’Bannon, Ridley Scott e Hans Ruedi Giger (creatore del design dell’alieno insieme a Carlo Rambaldi) hanno dato vita ad un cult immortale e ad uno dei film più importanti della storia del cinema.
Aliens – Scontro Finale di James Cameron
Dopo il successo del primo film, ci vollero circa dieci anni per assistere al suo sequel Aliens – Scontro finale. Grazie all’inaspettato successo al botteghino di Terminator, il progetto di un seguito di Alien viene affidato ad un giovane James Cameron che stravolse totalmente il taglio del primo film. Secondo lui, ricrearne le atmosfere e l’aria di novità sarebbe stato impossibile. Decide quindi di spostare il fulcro dall’orrore all’azione. Scelta figlia anche del cinema muscolare americano degli anni Ottanta. Infatti, il personaggio di Ripley (interpretato sempre da Sigourney Weaver) venne paragonato a figure come Rambo di Stallone o allo stesso Terminator di Schwarzenegger. Trascende i ruoli di genere finora imposti e si fa salvatrice ed eroina per tutte le figure maschili del film. Per la seconda volta, la saga di Alien sovverte le categorie di genere. Allo stesso tempo, Ripley viene bilanciata nella sua curva maschile e mascolina da un altro grande topos del film, l’istinto materno. I suoi istinti di protezione nei confronti di Newt sono evidenti. Se il primo film parlava di sopravvivenza, questo secondo capitolo parla di far sopravvivere l’altro. Evidente la figura finale della regina Aliena. Rappresentazione metaforica di una maternità tossica e iperprotettiva, è l’altro lato della medaglia di Ripley. L’aliena si vuole vendicare per la distruzione della sua covata e vede in Ripley proprio la figura responsabile. Non vi sono figure paterne, ma solo madri che proteggono i figli in due modi differenti. Altra interpretazione possibile del film fa riferimento alla guerra in Vietnam. I militari, meglio equipaggiati e preparati, non possono nulla contro un nemico invisibile nel suo territorio. Ripley soffre di un disturbo post-traumatico e il suo percorso nel film fa da metafora dell’affrontare, da parte dei reduci, gli spettri della guerra in modo diretto. E viene posto l’individuo come cardine fondamentale, a dispetto di un gruppo di militari. Tutta la tematica è aiutata nello sviluppo dall’idea di cinema impressa nel film da James Cameron. Il tocco Cameroniano è visibile anche nella sua capacità di creare mondi vivi e che respirano. Ha avuto l’abilità di rendere Alien un universo espanso, fatto di leggi, regole e politiche proprie. E il ritmo registico e d’impostazione non è mai banale: scende, sale, riscende e poi risale in un climax continuo che non stanca mai e poi mai, neanche alle visioni successive. E in tutto questo, la complessità narrativa non viene meno per esaltare l’azione, ma quest’ultima si fa strumento narrativo. L’azione prende piede a discapito dell’horror e Cameron gira uno dei più bei sequel di tutti i tempi, nonché uno dei migliori film di pura azione di sempre.
Alien e Aliens – scontro finale sono, quindi, delle pietre miliari del cinema. Sono la summa dei loro periodi e uno sguardo forte al futuro. Ancora oggi sono citati e venerati, e probabilmente, se uscissero ai nostri giorni, grideremmo al miracolo cinematografico. Proprio come nel grande cinema, la visione è sempre rivolta al passato, ma con l’idea che il futuro va creato e plasmato. Solamente due grandi registi come Ridley Scott e James Cameron potevano creare dei capolavori così e, grazie a Lucky Red, abbiamo la fortuna di poter assistere al cinema a due dei migliori prodotti che la settima arte ha mai creato.
Alessandro Libianchi
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