Le allusioni sessuali giustificano il licenziamento disciplinare del lavoratore anche se avvengono in un clima di goliardia. Lo stabilisce una sentenza della Cassazione dei giorni scorsi diffusa dallo Studio Cataldi e letta dall’AGI.

Gli ‘ermellini’ hanno confermato quanto già deciso in precedenza dal Tribunale di Arezzo e poi dalla Corte d’Appello di Firenze che avevano individuato una giusta causa di licenziamento nel comportamento dell’uomo, denunciato sia dalla collega che dalla società, per allusioni verbali e fisiche a sfondo sessuale nei confronti della giovane neoassunta con contratto a termine assegnata a mansioni di barista.

Un atteggiamento definito “indesiderato e oggettivamente idoneo a ledere e a violare la dignità della collega di lavoro”. Secondo i giudici nessuna giustificazione sarebbe derivata dal fatto che “fosse assente la volontà offensiva e che in generale il clima dei rapporti tra tutti i colleghi fosse spesso scherzoso”. 

Nel ricorso il lavoratore aveva sostenuto l'”inattendibilità” della collega perché il gip aveva archiviato una sua denuncia di violenze sessuali e stalking. Ma per la Cassazione «il reato di stalking era estraneo ai fatti per i quali era stato licenziato» mentre l’archiviazione della violenza era dovuta alla tardività della querela e non a ragionamenti nel merito. Nel secondo motivo del ricorso, il legale dell’uomo aveva invocato l”inidoneità” delle allusioni a ledere la dignità. Ma per la Cassazione la Corte d’Appello si è mossa correttamente nell’ambito della definizione di molestie sancita dalla legge. «E ha dunque considerato – si legge nella sentenza – le molestie come quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo». Anchese non sfociate in aggressioni fisiche.