A due mesi dalla dipartita sconvolgente di Chester Bennington, leader dei Linkin Park, in rete viene diffuso un filmato privato, girato tra le mura domestiche, che lo ritraggono in uno scorcio di vita famigliare nelle 36 ore prima del suicidio.

Il 20 luglio 2017 la voce tormentata e indimenticabile di uno dei gruppi nu Metal più adorati di tutti i tempi, cessava di intonare le sue melodie. Chester, padre, marito e star acclamata, decideva di congedarsi dai rumori assordanti di una vita frenetica, per abbandonarsi al silenzio immutabile di una condizione fredda e irreversibile.
La depressione, decisa a privarti della lucidità mentale indispensabile per difenderti, ti trascina in quell’abbraccio soffocante dall’epilogo inevitabile. Un nemico silente, spesso sottovalutato e sminuito nell’intensità del suo potere, in grado di infliggere alla vittima delle ferite irrimarginabili ed esuli dai poteri curativi dello scorrere del tempo e Bennington, questo, lo sapeva bene.

 


Nato e cresciuto in Arizona, gli abusi di violenza sessuali subiti dai 7 ai 13 anni, hanno incrinato gli equilibri di una personalità ancora in formazione. L’abuso di droghe,nel palese tentativo di ottenebrare i traumi incassati, lo hanno accompagnato gran parte della sua esistenza notoriamente poco incline agli stati di quiete.

Individuati nella musica e nella scrittura i pilastri fondamentali della sua dimora difensiva, costruita per contrastare gli attacchi assillanti dei suoi demoni personali, l’ingresso nei Linkin Park, con debutto ufficiale nel 2000, contribuisce a rendere eterne le sue indiscutibili doti canore. Il singolo “Crawling”, contenuto in “Hybrid Theory”, è la sintesi perfetta della condizione precaria in cui riversava la sua anima afflitta.

Datato 25 marzo 2003, è l’album “Meteora“, con circa 16 milioni di copie vendute, a consacrare e convertire un’orda di ammiratori, perlopiù giovani adolescenti, con l’esigenza di trovare ristoro nell’immedesimazione delle sue parole. Pezzi urlati, graffianti ed evocativi che svelano quel tipo di empatia che rapiva gli ormai convinti e fedeli fans della band.

Anni di successi, conferme e diffusione di una voce che ha continuato a raccontare, la morte suicida di Chris Cornell, leader dei Soundgarden e grande amico del cantante,devastano la sua psiche, innescando quella perenne lotta interiore lontana da quei flash apparentemente mansueti.

“Tu mi hai ispirato in molti modi che non hai mai saputo. Il tuo talento era puro e ineguagliabile. La tua voce era gioia e dolore, rabbia e perdono, amore e dolore tutto avvolto in una cosa sola. Prego che tu possa trovare pace nella tua prossima vita. Grazie per avermi permesso di far parte della tua vita”.

 

Una dedica che odora di autobiografia quella rivolta a Cornell, il preludio della condivisione di una scelta.
Talinda Bentley, vedova di Chester, decide spontaneamente di divulgare un ricordo personale. Un’azione traducibile nel monito, allarmato e fondamentale, di non fermarsi alle apparenze fatte di sorrisi e serenità ostentata. La depressione non ha un volto. Noi, quello di Bennington, non faticheremo a devolverlo alla memoria inestinguibile.

Alessia Lio